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28 gennaio 2015

Formazione intellettuale e culto della verità

L’attenzione alla formazione intellettuale deve caratterizzare ogni vita umana e cristiana poiché, come ci ricorda l’enciclica Fides et Ratio, “la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità”. Dunque la ricerca della verità è ciò che maggiormente nobilita l’essere umano e lo qualifica come tale: l’uomo infatti è tale proprio perché è un essere intelligente, ovvero capace di leggere dentro, di penetrare la realtà per scoprirne i principi che la governano, per incontrare la verità. Nel panorama ecclesiastico l’Ordine Domenicano ha sempre rivestito un ruolo preminente circa lo studio e l’approfondimento della verità. Il motto latino “Veritas” riassume egregiamente la tensione intellettuale ed il culto della verità che deve caratterizzare i figli di San Domenico. Il culto della verità
Consacrali nella verità. La tua parola è verità…per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,17-19). Queste parole di Cristo, pronunciate in occasione della celebre preghiera sacerdotale riportate dal testo giovanneo, ci ricordano egregiamente il legame inscindibile fra il cristiano e la verità. Gesù chiede al Padre che i Suoi discepoli siano dei consacrati. Ma qual è il significato di questo termine? Il consacrato è colui che è reso sacro, diventa proprietà esclusiva del Sacro per eccellenza che è Dio. Dunque consacrarsi alla verità evidenzia l’appartenenza effettiva ed affettiva di ogni cristiano, non solo del religioso, al Dio vero. Il credente dunque a buon diritto può esultare nel profondo poiché conosce la verità, attraverso la quale giunge ad una sguardo certo su Dio, sulla creazione, su se medesimo, trovando risposte intimamente appaganti riguardo le annose domande sul mistero e il destino ultimo dell’essere umano. 

Questa grazia della quale beneficia il cristiano comporta tuttavia una grande responsabilità. “L’obbedienza alla verità” (Gal 5,7) sarà in ultima analisi un connotato caratteristico del discepolo del Cristo. Egli sarà tenuto in primo luogo a conoscere, ad amare e ad osservare gioiosamente il Magistero della Chiesa, luogo, rammentando la bella intuizione di Chesterton, dove “tutte le verità si danno appuntamento”.

In secondo luogo, ogni consacrato alla verità è tenuto a distinguere senza tentennamenti la verità dall’errore, la luce dalle tenebre, evocando in tal modo la volontà dell’Onnipotente, percepibile fin dalla fondazione del mondo (Gn 1,4). Amare la verità significa in altri termini odiare l’errore. Se la verità di Dio è luce e vita, poiché Egli è venuto “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) propagare l’errore è diffondere la morte, l’assenza di Dio.

Attualmente una tentazione subdola che insidia non pochi cristiani consiste in concreto nell’incapacità di separare il vero dal falso, l’ortodossia dall’eresia, che inquina fin dalla radice la Buona Novella di Cristo, rendendo l’evangelizzazione e l’azione pastorale insipide e culturalmente irrilevanti. San Giovanni, “il discepolo che Egli amava” (Gv 13,23), con il suo insegnamento cristallino ci ricorda che i seguaci del Cristo devono essere in grado di distinguere lo spirito della verità dallo spirito erroneo. Il criterio suggerito consiste nella sintonia con il lascito apostolico: “Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta” (1 Gv 4,6). In un altro passo afferma: “Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio “(2 Gv 9-10).

L’appartenenza alla Chiesa custodirà il credente dal pericolo dell’eresia. Etimologicamente questo termine greco deriva dal verbo scegliere. L’eretico è colui che estrapola dal contesto una verità di fede, esasperandola ed assolutizzandola. Solo il ripararsi all’ombra della Chiesa difenderà il cristiano da ogni intemperia ideologica poiché solo nel Corpo mistico di Cristo vige la regola dell’et-et, mirabile sintesi di opposti apparentemente contradditori. La verità deve essere in ultima analisi integrale cioè profondamente cattolica, universale. Naturalmente il credente deve avere ben chiaro il principio che distingue l’errore dall’errante. L’errante non va giudicato bensì compreso ed accolto poiché il giudizio spetta solo a Dio. Tuttavia l’errore va decisamente combattuto e condannato perché attenta alla verità. San Giovanni Paolo II ce lo ricorda chiaramente: “La comprensione ed il rispetto per l’errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l’errore di cui egli è vittima. Il rispetto, infatti, per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie”.


Rimedio per eventuali seduzioni di fondamentalismo e chiusura che potrebbero istigare il cristiano sarà l’umile consapevolezza che il credente non è padrone della verità ma, al contrario, docile servo al quale è richiesta fedeltà e mitezza. Inoltre poiché la verità è Dio, essa è inesauribile e dunque non interamente indagabile dalle nostre povere forze umane. L’uomo è un pellegrino e finché sarà in vita dovrà necessariamente porsi in un atteggiamento riflessivo e contemplativo nei confronti della verità.

A sostegno di questa tesi ci viene in aiuto San Tommaso che afferma: “Tutto ciò che è vero, a prescindere da chi lo dice, viene dallo Spirito Santo” (Somma Teologica I-II.q.109). Certamente il cristiano, per rimanere tale, deve professare tenacemente l’unicità salvifica di Gesù Cristo. Egli sa che “non vi è altro nome sotto il quale possiamo essere salvati” (At 4,12). Allo stesso tempo tuttavia, crede che lo Spirito Santo “soffia dove vuole” (Gv 3,8) ed è così in grado di suscitare in ogni uomo, anche in chi è in apparenza lontano dalla Chiesa e dal Vangelo, le Sue folgorazioni. Occorre “esaminare tutto e tenere ciò che è buono” (1 Ts 5,21) poiché tutto ciò che vi è di buono, bello, vero, non può che derivare da Cristo, somma di tutti i valori. Ai nostri giorni molti uomini hanno fatto propria la domanda che Pilato rivolse a Gesù:”Che cos’è la verità?”(Gv 18,38). Se i credenti desiderano davvero realizzare la chiamata ad essere “luce del mondo e sale della terra” (Mt 5,13-16) dovranno seriamente porsi in ascolta del Figlio prediletto del Padre (Mt 17,5) perché Egli stesso ci ricorda che “chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” (Gv 18,37).

Fr. Daniele Benedetto Maria Cassani o.p.





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