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30 gennaio 2010

L'omelia di padre Max - 4° domenica del tempo ordinario

“O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo.”

“Àlzati e di’ loro tutto ciò che io ti ordinerò. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti."

“Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte per gettarlo giù…”

Ger 1,4-5.17-19; Sl 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30

Vi mostro la via più sublime” scrive san Paolo ai cristiani di Corinto, una città di frontiera, porto di mare in tutti i sensi, sede di fiorenti attività commerciali, crocevia di popoli, di lingue e culture; e come tutte le metropoli, Corinto era anche una sentina di vizi… L’apostolo dei Gentili non esita ad annunciare il primato della carità anche là dove sembra che la gente non pensi ad altro che al denaro e al piacere…Paradossalmente Paolo riesce nel suo intento, mentre non aveva avuto pressoché alcun riscontro positivo tra i suoi correligionari. Anche per lui vale il proverbio citato da Gesù: “Nemo propheta in patria sua!”… Qual è questa via più sublime, cui Paolo si riferisce? e che significa oggi per la Chiesa indicare la strada verso il bene?

Mettersi in cammino per cercare il bene non è qualcosa che riguarda in primo luogo regole e comandamenti. Tenete sempre presente la scena di quella prima, fallimentare, omelia tenuta da Gesù, in giorno di festa, nella sinagoga del suo paese, tra i suoi parenti, amici e conoscenti; è verosimile che in quel luogo di culto sedessero anche i capi del popolo, attirati dalla fama che Gesù aveva riscosso nei paesi vicini, e incuriositi dal discorso che avrebbe pronunciato. In fondo è quello che capita ai nostri giorni quando un giovane prete celebra la sua prima Messa nella parrocchia di origine, alla presenza della famiglia: di solito, il novello levita tiene la classica predica di circostanza, imparata più o meno a memoria, zeppa di citazioni evangeliche… un po’ da manuale… Edificazione generale – non tanto per le parole scontate che ha detto, quanto per la scelta di vita che ha fatto –; grandi applausi, qualche lacrimuccia di commozione… e poi, tutti a fare una bella magnata al ristorante.

Invece Gesù scelse un’altra strategia; e il suo primo discorso a casa sua prese una piega che nessuno si attendeva. Invece di parlare dei comandamenti e della Legge di Mosè, come facevano tutti i rabbini del suo tempo – e anche del nostro –, il Signore richiamò alla memoria due fatti tristemente famosi, accaduti secoli prima in Israele: l’esito lo abbiamo sentito.

Pensare che la fede e la morale cristiana siano solo un fatto di comandamenti fa parte di una mentalità relativamente recente, che risale all’epoca della Riforma protestante. Dobbiamo tornare ad una visione più antica, e più originale, che considerava la via del bene soprattutto come un viaggio verso Dio e verso la felicità. Al centro non vi erano i comandamenti, ma le virtù.

Le virtù aiutano ad essere pellegrini. Virtus, letteralmente significa forza. Le virtù cardinali del coraggio, della prudenza, della temperanza e della giustizia formano, fortificano una persona, al fine di intraprendere il viaggio. Fede, speranza e carità sono virtù che danno un’idea della fine – ma soprattutto del fine – del viaggio: la vita con Dio. Diventare buoni non è sinonimo di sottomissione passiva e a-critica alle regole, quanto piuttosto capacità di diventare agenti morali, che sanno affrontare le scelte difficili e decidere che cosa sia giusto, man mano che si dà forma alla vita, si intraprende una strada e la si percorre.

Se, ripeto, pensiamo che essere buoni cristiani abbia fondamentalmente a che fare con l’obbedienza a delle regole, allora ci concentreremo sui singoli atti. Niente sesso fuori dal matrimonio e santa messa tutte le domeniche; e se sbagli, passa dal confessionale e ricomincia: quanta gente la pensa così! Ed è anche ciò che vuole sentirsi dire!…. infatti siamo in molti a dirlo! Invece, l’etica delle virtù – quella indicata da san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi – guarda alla forma, all’unità, all’armonia della vita umana nel suo insieme; l’etica delle virtù stabilisce e mantiene la via più sublime, la traiettoria di avvicinamento a Dio. Cercare il bene è continuare a camminare nella giusta direzione.

Il contributo dei cristiani dev’essere quello di prendere il largo per compiere il pellegrinaggio della vita e di aiutare le altre persone nel loro pellegrinaggio verso la vita eterna. Dobbiamo accompagnarle, partendo dal punto in cui si trovano, a prescindere dal fatto che questo (punto) si accordi oppure no con l’insegnamento della Chiesa. Partiamo da dove si trovano le persone, anche se non sono dove, secondo la Chiesa, dovrebbero essere!

Accompagnare è forse il termine meno inadeguato per definire il ruolo dei cristiani e della Chiesa. Rendere presente Cristo che cammina insieme ai due discepoli di Emmaus e li accompagna fino a casa, parla con loro, svela il senso delle scritture; li riprende, certo, ma non li maltratta, non li scoraggia; e soprattutto infiamma nuovamente i cuori dei pellegrini, suscita il desiderio di comunione… e proprio in quel momento, sa donare loro il pane della vita che hanno bisogno di ricevere.
In tutto questo discorso, dove sono i nostri conoscenti? i nostri compagni di fede? bah, forse non ci sono… o forse non ci siamo noi con loro!

Quando Dio ordinò ad Abramo di abbandonare Ur dei Valdei, il patriarca della nostra fede non fece abiezioni! La sua vicenda, letta alla luce di quella di Gesù a Nazareth, insinua il sospetto che anche al padre Abramo sia accaduto un fatto analogo… La novità che Dio gli aveva rivelato era talmente inusitata, talmente distante dalle tradizioni locali, da non poter essere accolta se non a condizione di andarsene lontano, lasciando tutto e tutti… Lo stesso fece san Paolo, divenuto l’Apostolo dei pagani, a motivo del sostanziale rifiuto, da parte degli Ebrei, della sua conversione, in particolare della sua intuizione che la fede cristiana potesse uscire fuori dagli angusti confini del Giudaismo e diventare cattolica, cioè universale.

Tornando al Vangelo, qualcuno obbietterà: “Eh, ma, così facendo, il Signore Gesù si giocò un’occasione d’oro per annunciare la Buona Novella ai suoi!” La verità è un’altra; direi, anzi, che è proprio il contrario! Gesù annunciò ai suoi la Buona Novella, e l’annunciò senza mezzi termini! Le conseguenze furono il rifiuto totale. Proprio come accade negli ambienti connotati da una morale forte!... è così difficile annunciare il Vangelo in un contesto del genere; lo so che sembra assurdo, ma parlo per esperienza anche personale. Non nel senso che ho sperimentato il rifiuto violento e radicale da parte dei cristiani – in realtà una volta mi è capitato, e proprio in un gruppo ove la fede cristiana era formalmente al di sopra di ogni sospetto –. La mia esperienza è quella di non avere forse mai avuto il coraggio di parlare senza rispetto umano, proprio per paura di essere rifiutato come Gesù. Mah, può darsi invece che la mia esagerata discrezione sia soltanto prudenza, o diplomazia… Comunque il dubbio resta e mi tormenta. Piace a tutti ricevere attestazioni di stima, e di ammirazione… Piace un po’ meno essere trascinati sul ciglio del monte…

Ora vedo in modo confuso, come in uno specchio… spero che un domani vedrò faccia a faccia, e conoscerò perfettamente come anch’io sono conosciuto…
Chiedo scusa della conclusione autobiografica.


Si diventa eterni, vestendo la propria carne di miseria e tenendo per sé quella conoscenza dell’amore che è data solamente ai santi e ai profeti.
Alda Merini

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