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7 febbraio 2010

V-VI. Tutti in riga!

Quando sono entrato per la prima volta in un convento, rimasi un po' scandalizzato dalla presenza di cuoche, sarte e donne delle pulizie. Mi chiedevo, infatti, quanto questo si conciliasse con il voto di povertà. Io, in fin dei conti, quando lavoravo, cucinavo, lavavo e stiravo per conto mio, dopo una lunga giornata lavorativa. Così, penso, fanno tutte "le persone nel mondo".

Da dentro al convento la prospettiva cambia un poco e si cominciano a capire le ragioni di queste presenze "aliene". La prima è di carattere pratico: molti frati non sono in grado, per mancata educazione o per anzianità, di fare da sè. Se l'onere della gestione del convento dovesse cadere tutta sui frati abili, questi non avrebbero il tempo di fare altro...

Mi è parso di intuire che ci sia anche un'altra ragione, più sottile e psicologica. Chi lavora oggi in un convento è spesso donna. Oltre a svolgere con professionalità e sollecitudine il loro lavoro, assolvono anche, all'interno delle dinamiche conventuali, un ruolo materno e donano un tocco di femminilità ad un burbero ambiente maschile. Sono loro ad avere delle attenzioni particolari per i frati malati o per i frati festeggiati, magari un giorno, gratuitamente, cucinano qualcosa di speciale o accompagnano qualcuno all'ospedale. Ascoltano sfoghi e sopportano umori storti.


A queste due ragioni, Umberto ne aggiunge una terza -sorprendente- alla fine del sesto paragrafo della sua lettera all'ordine domenicano: chi lavora in un convento èspesso da esempio per i frati in materia di obbedienza. Molti frati, suggerisce Umberto, si dovrebbero vergognare delle loro bizze guardando i loro collaboratori domestici. Io non posso che sottoscrivere questo notazione dell'antico maestro generale, non perchè i nostri frati siano particolarmente disobbedienti, ma perchè l'amore, l'impegno e la dedizione che le signore del convento di San Bartolomeo dedicano al loro lavoro trascende di molto ciò che è dovuto per salario.

Se un frate ubbidisce solo al suo superiore, le nostre Ma. e Mo. devono fare ben di più, visto che ogni frate si sente un po' padrone in convento. Quando un frate lavora si può rinchiudere in camera e state certi che non verrà più disturbato, mentre Ma. e Mo., oltre a campanelli e telefoni che suonano, si ritrovano anche gli affamatissimi postulanti tra le gonnelle. E la cosa più straordinaria delle due "mamme" del convento è che non le si sente parlare mai male di nessuno dei frati (anche se, a volte, forse ne avrebbero qualche ragione!). Chissà se anche la santità del beato Umberto non nasce dall'esempio di qualche cuoca indaffarata tra i pentoloni di un convento...

V. Affinchè la vostra obbedienza sia davvero gradita a Dio onnipotente, assicuratevi che sia: pronta e senza ritardi; devota e senza disprezzo; spontanea e senza obiezioni; semplice e senza discussioni; gioiosa e senza turbamenti; risoluta e senza paura; universale e senza eccezioni; perseverante fino in fondo.

VI. Pertanto, il buon frate stia sempre preparato e tranquillo, in modo che lo si trovi sempre pronto ad obbedire. Miei diletti, siate, quindi, duttili come l'oro e flessibili come una frusta, che si raddrizza e si piega a piacimento. Siate girevoli come ruote, che rotolano grazie ad una spinta dello spirito (Ez 1). Siate come una bestia da soma, sul quale si mette di tutto un po'. La sillaba ancipite è sicuramente molto gradita ai parolieri, perchè la si può mettere dovunque. Allo stesso modo il frate sempre pronto ad ubbidire a Dio è gradito agli uomini, perchè non rifiuta nessun ordine.

Avete letto, carissimi, perchè, una volta chiamate, le stelle avevano risposto: Eccoci! (Gb 38). Da questo passo si capisce, infatti, benissimo quanto debbano essere unite la voce di chi ordina e l'azione di chi ubbidisce. E proprio così si dimostrò quel monaco che, appena fu chiamato, lasciò a metà la lettera che stava scrivendo e venne subito, come si racconta nelle Vite dei Padri del deserto. Ma alcuni sono, al contrario, delle vere e proprie pietre quadrate e, a stento, li si riesce a spingere all'obbedienza. Di loro dice la Sapienza (Qo 10): a spostar pietre, ci si fa male. Infatto, nel momento in cui un superiore si sforza di portare qualcuno alla virtù dell'obbedienza, a causa dell'opposizione del disubbidiente, suda quattro camicie.

Vi faccio un esempio per invitarvi ad ubbidire sul serio con prontezza: non c'è ritardo che tenga quando il capitano dà un ordine in mare. Ci si chiede qualcosa e noi disubbediamo al nostro superiore? Vi faccia vergogna il fatto che talvolta i nostri dipendenti sono più pronti, per uno stipendio da fame, a fare lavori pesanti che noi ad ubbidire ai nostri superiori per la gloria eterna.

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