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31 maggio 2010

La presenza domenicana in Emilia-Romagna

La storia dei quaranta conventi e vicariati sorti a partire dal 1218 in Emilia-Romagna può essere suddivisa in due periodi: il primo comprende le dodici fondazioni realizzate da San Domenico e dai suoi seguaci nel secolo XIII, mentre il secondo vede altre venticinque fondazioni, tra maggiori e minori, patrocinate da signori o da comunità locali in pieno Rinascimento.

Dal punto di vista dell’organizzazione dell’ordine il territorio della Regione Emilia-Romagna appartenne sempre alla provincia di Lombardia. Infatti nel 1221, nel secondo Capitolo generale (30 Maggio) l’ordine intero fu diviso in otto Province. Per quanto riguarda l’Italia furono create due province: La Provincia Lombardiæ, comprendente l’Italia settentrionale, dalle Alpi agli Appennini, il cui primo Priore Provinciale fu il beato Giordano di Sassonia, e la Provincia Romana o di Tuscia che comprendeva tutto il resto dell’Italia. Poi nel 1303, dato il grande numero di religiosi e di conventi, il Capitolo generale divide la Provincia Lombardiæ in Provincia Lombardiæ inferioris con sede a Bologna, e Provincia Lombardiæ superioris con centro a S. Eustorgio di Milano.


Il primo periodo è caratterizzato da una rapida diffusione dell’ordine con la fondazione di conventi nelle più importanti città della regione lungo le principali vie di comunicazione, come la via Emilia e la Romea.

La città di Bologna, grazie alla presenza dell’università, venne scelta nel 1218 da San Domenico come sede primaria del suo ordine e in meno di tre anni molti professori e studenti entreranno a far parte dell’ordine rendendosi protagonisti del suo diffondersi in Italia e all’estero: tra questi basti ricordare san Raimondo di Penafort, san Pietro da Verona, Giovanni da Vicenza e tanti altri. San Domenico durante il periodo della sua presenza nel convento di Bologna, che si trovava a San Niccolò delle Vigne, formò le vocazioni e le preparò alla missione evangelizzatrice che i suoi figli avrebbero dovuto svolgere presso tutti i popoli.

Alla morte di San Domenico, avvenuta a Bologna il 6 Agosto 1221, l’edificio del convento stava sorgendo secondo i canoni della funzionalità e della povertà evangelica e nello stesso modo sarà costruita la chiesa che verrà poi interamente ricostruita nel decennio successivo: entrambe saranno un modello per altre chiese domenicane, come quelle di Piacenza, Imola, Reggio Emilia e Faenza.

Bologna è da considerare il centro di diffusione delle schiere domenicane nella regione. Fra Bonviso creò il convento di S. Giovanni in Canale a Piacenza nel 1223, sua città di origine. Reggio Emilia accolse una comunità di frati nel 1235. A Modena fu il vescovo domenicano Alberto Boschetti a offrire nel 1243 ai confratelli un convento. Parma diede loro una sede definitiva nel 1246 grazie all’intervento del vescovo Alberto Sanvitale, nipote di Innocenzo IV. Faenza risale al 1223 (ma la sede definitiva di S. Andrea si avrà nel 1231); S. Giacomo a Forlì è databile al 1230; S. Nicolò di Imola è del 1245. A Cesena i domenicani sono presenti già nel 1250. Il comune di Rimini nel 1254 concede a fra Giovanni la chiesa di S. Cataldo. A Ravenna i frati erano già presenti nel 1253 e otterranno la stabilità il 2 marzo 1269. Nel 1274 abbiamo il convento di S. Domenico a Ferrara. In questo modo i figli di san Domenico in mezzo secolo si stabilirono nei centri principali della regione .

All’inizio del loro insediamento in una città i frati alloggiavano in ambienti di fortuna, presso chiesette periferiche, cercando sempre un posto migliore e un terreno edificabile adatto e sufficiente. Se poi parliamo della costruzione del convento e della chiesa le cose andranno per le lunghe, decenni o anche un secolo o più. Tra i primi conventi ad essere completati, almeno nelle parti essenziali, vi è certamente il convento di Bologna con la chiesa che era divenuta la custode delle reliquie del Santo Fondatore.

I frati predicatori si insediano dentro le città, non fuggendo in luoghi solitari o in remote abbazie isolate dal mondo, ma facendosi cittadini e condividendo la condizione degli altri uomini. I loro conventi si trovano vicini alle mura della città ed erano costituiti essenzialmente da due parti, la chiesa e il convento. Per quanto riguarda la chiesa essa in pratica era un solo grande edificio sacro diviso in due parti da un pontile. La parte riservata ai frati era la parte più ornata, si trovava all’interno della clausura ed era utilizzata per la solenne ufficiatura, mentre la parte più semplice era riservata ai fedeli. L’edificio che costituiva il convento doveva contenere tutti gli ambienti necessari ad una comunità di persone che dovevano trovare entro il convento l’indispensabile per la loro intera vita, dalla vestizione e professione religiosa fino alla morte e sepoltura: quindi vi era il dormitorio, l’ospizio, l’infermeria, la sala del capitolo, la biblioteca, le aule scolastiche, la lavanderia, il refettorio, la cucina, la cantina, il granaio, la legnaia e il cimitero. Inoltre per volere di San Domenico si trovava anche l’orto in cui veniva coltivata la frutta e la verdura per il consumo interno. In media un convento domenicano del XIII secolo occupava circa tre ettari di terreno, chiuso da un muro di cinta che proteggeva la clausura ed era aperto unicamente sulla piazza pubblica che dava accesso al sagrato della chiesa.

Queste costruzioni erano caratterizzate dalla povertà. San Domenico volle consacrarsi alla predicazione del Vangelo seguendo la povertà degli apostoli. Quindi era vietato vivere delle rendite derivanti da proprietà immobiliari, come campi e case e da depositi bancari. La prima generazione di frati visse con la questua di porta in porta e con le offerte spontanee dei fedeli; erano appunto “mendicanti” e quel tenore di vita conquistava i giovani che abbracciavano numerosi la vita religiosa. Ogni convento, per sua costituzione, era una scuola qualificata di filosofia e teologia che era aperta anche ai chierici e ai laici. Accanto alla figura del priore, vi era quella del predicatore e quella del lettore, che di solito, era laureato a Parigi.

All’interno della regione il convento di Bologna fu elevato al grado di “studio generale” per l’Italia nel 1248 . Ma il fatto più importante era la “circolazione dei cervelli”; infatti, mentre i monaci benedettini erano legati per tutta la vita alla propria abbazia, i domenicani erano invece legati all’ordine, che in questo modo li poteva assegnare a qualsiasi convento. Questa era la norma, non l’eccezione, e ciò produceva un crescente arricchimento culturale. Inoltre le biblioteche erano aperte a tutti gli studiosi ed erano fornite di codici di cultura generale, profana, classica e sacra ecc: opere di teologia, filosofia, diritto civile ed ecclesiastico e il fondo librario aumentava con il passare degli anni. A questo si aggiungano le opere d’arte, di pittura, scultura e di architettura patrocinate dai frati nella costruzione delle loro chiese, cappelle e conventi che in questo modo diventano dei veri scrigni di tesori artistici.

Per quanto riguarda il secondo periodo bisogna segnalare che dalla metà del Duecento e per oltre due secoli non vi sono fondazioni di rilievo ma si assiste alla crisi della povertà all’interno dell’ordine, cosa che ha profondamente modificato il progetto originario di san Domenico. Alla fine del XIII secolo la povertà mendicante verrà abbandonata e per assicurare il sostentamento ai conventi si ricorrerà ai proventi della proprietà immobiliare. I terreni agricoli che venivano ereditati dai frati si espandevano a macchia d’olio e la povertà era ormai di tipo personale piuttosto che comunitaria; ma nel XIV secolo anche la povertà personale scomparve e i conventi si trasformarono in alberghi abitati dai frati che conducevano vita privata. Questa situazione suscitò un movimento di riforma che venne promosso da una giovane terziaria domenicana, Caterina da Siena, che affronterà con decisione e pieno successo il problema nel secolo XV. Questa riforma ha reintegrato la povertà personale, accettando però il sistema delle rendite fondiarie, come stabilito da Papa Sisto IV. La riconquistata fiducia nella virtù e santità dei frati predicatori presso l’opinione pubblica spiega la serie impressionante di nuove fondazioni che si registreranno successivamente in pieno Rinascimento, nel momento più acuto della crisi morale della Chiesa.

[Andrea]

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