L’episodio “fondante” da cui bisogna partire per comprendere lo stanziamento dei domenicani a Bologna è la visita in città di Domenico nel gennaio 1218 durante uno dei suoi viaggi tra Tolosa e Roma. La comunità tolosana era stata sciolta, e i primi frati erano stati inviati nelle principali università d’Europa.
Bologna apparve a Domenico come una grande città, con una vita civile intensa anche grazie ai molti studenti che vi soggiornavano, ed è in questa città che egli invia i suoi primi seguaci perché si costruissero un bagaglio culturale di notevole spessore per poter meglio fronteggiare gli eretici. Rientrato nella sua sede romana del convento di San Sisto, egli inviò quasi subito e a più riprese a Bologna alcuni frati, tutti spagnoli, per preparare la fondazione di un convento.
La presenza dell’Università più antica del mondo rendeva necessario che la predicazione fosse rivolta anche verso il mondo dei maestri e degli studenti dell’Università.
In riferimento alle prime sedi bolognesi dei frati Domenicani occorre rilevare come la basilica in cui giacciono le spoglie del santo non fu la prima dimora dei domenicani. I primissimi tempi dei frati che da Roma furono mandati a Bologna dallo stesso Domenico furono duri e oscuri: dapprima ospitati dai monaci benedettini di San Procolo, si trasferirono poi quasi subito nella chiesetta di Santa Maria della Mascarella, che fu quindi la loro prima sede.
Nell’area su cui sarebbe sorto il grande convento domenicano si stanziarono solo nel 1219, a seguito della concessione del giuspatronato della chiesa di San Niccolò delle Vigne da parte di Pietro Lovello. Il patrimonio immobiliare dell’ordine fu frutto di donazioni dei fedeli e cominciò a farsi consistente solo dopo alcuni decenni dall’arrivo dei primi frati, per il loro originario rifiuto di possedere beni.
Bologna apparve a Domenico come una grande città, con una vita civile intensa anche grazie ai molti studenti che vi soggiornavano, ed è in questa città che egli invia i suoi primi seguaci perché si costruissero un bagaglio culturale di notevole spessore per poter meglio fronteggiare gli eretici. Rientrato nella sua sede romana del convento di San Sisto, egli inviò quasi subito e a più riprese a Bologna alcuni frati, tutti spagnoli, per preparare la fondazione di un convento.
La presenza dell’Università più antica del mondo rendeva necessario che la predicazione fosse rivolta anche verso il mondo dei maestri e degli studenti dell’Università.
In riferimento alle prime sedi bolognesi dei frati Domenicani occorre rilevare come la basilica in cui giacciono le spoglie del santo non fu la prima dimora dei domenicani. I primissimi tempi dei frati che da Roma furono mandati a Bologna dallo stesso Domenico furono duri e oscuri: dapprima ospitati dai monaci benedettini di San Procolo, si trasferirono poi quasi subito nella chiesetta di Santa Maria della Mascarella, che fu quindi la loro prima sede.
Nell’area su cui sarebbe sorto il grande convento domenicano si stanziarono solo nel 1219, a seguito della concessione del giuspatronato della chiesa di San Niccolò delle Vigne da parte di Pietro Lovello. Il patrimonio immobiliare dell’ordine fu frutto di donazioni dei fedeli e cominciò a farsi consistente solo dopo alcuni decenni dall’arrivo dei primi frati, per il loro originario rifiuto di possedere beni.
IL CONTESTO DELL’ ARRIVO DELL’ ORDINE
I fermenti, i conflitti religiosi, le contraddizioni e le discordie che caratterizzavano la vita delle città italiane tra XII e XIII secolo suscitarono inquietudini personali e collettive accrescendo il fervore religioso, che in quei decenni si espresse anche nella predicazione di figure mistiche e carismatiche come Domenico di Guzman, Francesco d’Assisi e Antonio da Padova.
La loro capacità di dialogare e di dare risposte al mondo cittadino ne moltiplicò i seguaci e si tradusse nella formazione, nell’approvazione e nella diffusione di nuovi Ordini religiosi, che pur adottando la vita in comune dei modelli claustrali, presentavano alcuni aspetti antitetici rispetto al monachesimo tradizionale. Questi ordini furono definiti mendicanti, dato che perseguivano una povertà volontaria confidando nel sostegno dei fedeli e che non cercavano la vita isolata, ma al contrario, lo stretto e diretto contatto con la società. La nuova spiritualità si riflette nella regola di sant’Agostino, che sembra più adatta ad esprimere l’atteggiamento di quelli che non si chiameranno più monaci ma frati, riuniti in un convento e non più in un monastero e che lascia più liberi di esprimere un maggior interesse per l’azione nel mondo che non per la contemplazione ascetica di Dio. In quegli anni di conflitti e lacerazioni essi costituirono un’efficace risposta suscitata all’interno della Chiesa alle rivendicazioni di coerenza che erano spesso sfociate in movimenti considerati eretici.
Anche a Bologna nei decenni iniziali del Duecento si registrò un cospicuo rinnovamento nella vita cittadina: le attività economiche erano in espansione, la comunità era attraversata da sommovimenti di carattere sociale e politico che stavano portando sulla scena nuovi protagonisti del mondo delle attività artigianali, commerciali e finanziarie. Una nuova recinzione appena tracciata allargava il perimetro cittadino e induceva un processo di urbanizzazione dello stesso anello di accrescimento.
Il prestigio e la fama dei maestri di diritto attraevano studenti da tutta Europa e questo metteva in luce la necessità di una normativa che tutelasse la qualità degli studi e conferisse credito ufficiale ai loro curricula. Inoltre, quale città universitaria, Bologna attirava l’attenzione dei nuovi Ordini religiosi di recente istituzione e la presenza di tanti giovani era un incentivo a svolgere la loro missione e a suscitare vocazioni. I Francescani, i Domenicani, gli Agostiniani e i Serviti stabilirono le loro sedi non lontano da quelle delle più antiche congregazioni monastiche, questo sia per motivi pratici, come ad esempio il minor costo dei terreni, ma anche per la protezione assicurata dal servizio di guardia cittadina.
I Domenicani, dopo la breve residenza a Santa Maria della Mascarella, si situarono in un’area posta nella parte meridionale della città, all’interno della vecchia cerchia dei “torresotti” in contrada San Nicolò delle Vigne, nel quartiere di San Procolo; lo spazio di insediamento era delimitato ad est dall’alveo del torrente Aposa, a sud dalle mura dell’XI secolo con fossato e strada, a ovest dalla via pubblica creata sopra un antico fossato romano riempito di terra, a nord da una serie di case ben allineate. Da qui i frati irradiarono quell’intensa attività che li avrebbe portati ad assumere un ruolo primario nel contesto cittadino, a moltiplicare le proprie sedi e a gestire un cospicuo patrimonio fondiario.
Presumibilmente il contatto decisivo da cui sarebbe sorto il suo vincolo con Bologna, Domenico l’ebbe nel gennaio del 1218 durante uno dei suoi viaggi da Tolosa a Roma. Da non molti mesi il suo Ordine aveva ottenuto l’approvazione da parte di due grandi pontefici: nel 1215 da Innocenzo III e nel 1216 da Onorio III. Rimane aperto l’interrogativo se la scelta di fare di Bologna una delle sedi in cui fondare una comunità scaturisse da quel contatto e dalla presenza di giovani studenti provenienti da tutta Europa o come appare più probabile, se essa rientrasse in un progetto in parte già delineato.
Uno dei primi problemi che i frati mandati da Domenico dovettero affrontare a Bologna fu quello della dimora. Essi furono ospitati dai benedettini di San Procolo e, mentre prendevano contatto con la nuova realtà, riuscirono a ottenere dal vescovo Enrico della Fratta di potersi trasferire nella chiesetta di Santa Maria della Mascarella nel quartiere di Porta Piera.
Per alcuni mesi essi vissero nella generale indifferenza, senza riuscire ad attrarre l’attenzione né dei bolognesi, né degli studenti. L’esempio della vita povera ed umile era forse, in una città pervasa più che altrove da fermenti culturali e commerciali, tutto sommato poco appetibile.
Quando Domenico giunse qualche mese dopo, trovò la piccola comunità ancora afflitta da gravi problemi di sussistenza. Tuttavia la sua predicazione e quella di fra Reginaldo d’Orleans, che era docente di diritto canonico a Parigi e uomo energico, affascinante, ampiamente affermato nel mondo degli studi, riuscirono a far presa sulla comunità cittadina garantendo un sostentamento dignitoso e un seguito crescente che mise subito in evidenza l’insufficienza degli spazi offerti dalla chiesetta della Mascarella.
Abbandonata l’idea di ampliarla, non potendo disporre delle case contigue, fu contattato il cappellano della chiesa di San Niccolò delle Vigne situata dalla parte opposta della città nel quartiere di Porta Procola e se ne ottenne il consenso a trasferirvisi. Ma per farlo si doveva disporre dell’assenso di Pietro Lovello, il nobile detentore del giuspatronato di tale chiesa e proprietario delle vigne circostanti. Di fronte alle resistenze di quel potente personaggio intervenne sua nipote, Diana di Andalò, che ottenne il consenso al trasferimento e alla concessione del terreno necessario per edificare una casa. Nel contratto, stipulato il 14 marzo 1219 da Reginaldo d’Orleans e da Pietro Lovello, fu registrato l’acquisto di un terreno posto a sud della chiesa, esteso fino al fossato della città e si pervenne anche alla cessione dello jus patronatus sull’edificio sacro.
Nei due anni che intercorsero prima della morte di Domenico (6 agosto 1221) si conclusero altri contratti di acquisto di beni limitrofi. I nuovi edifici furono costruiti tanto rapidamente, che al ritorno di Domenico furono la sede del primo Capitolo Generale dell’Ordine, il 17 maggio 1220. Il primo nucleo del nuovo convento aggregato alla chiesa di San Niccolò fu man mano ampliato e contornato da terreni da destinarsi agli usi necessari per la crescente comunità dei frati e lo si fece attraverso successivi acquisti. Durante il secondo Capitolo Generale, tenutosi nella Pentecoste del 1221 (30 maggio), si era proceduto a suddividere le competenze territoriali dell’Ordine in otto province. Al centro di quella di Lombardia, affidata a Giordano di Sassonia, si era posto il convento bolognese con la sua chiesa di San Niccolò, retta da fra Ventura da Verona. Ma fu soprattutto la morte in loco del grande fondatore a rendere permanente la centralità della sede bolognese, nella quale si sarebbero venerate d’ora in poi le spoglie del santo.
La devozione popolare attorno al suo sepolcro e la fama dei miracoli che vi accadevano – cose in un primo momento sopportate non troppo di buon grado dai frati – furono causa del radicarsi di un culto che di lì a una dozzina di anni si sarebbe espanso in modo travolgente e avrebbe condotto alla spettacolare traslazione delle reliquie del 1233 e alla canonizzazione dell’anno successivo. Frattanto, l’esperienza domenicana bolognese era divenuta il centro di irradiazione delle comunità domenicane di tutta Europa. Da qui l’esigenza di ampliare il convento e la chiesa per dare ospitalità al numero crescente di fedeli e religiosi che vi affluivano. Il riconoscimento della sua santità con la bolla Fons Sapientiae emanata da Papa Gregorio IX il 3 luglio 1234 ne incrementò la fama e la capacità di richiamo di quella che era divenuta la sede per eccellenza dell’ordine dei Predicatori.
La consacrazione della chiesa fu effettuata nell’ottobre 1251 da Innocenzo IV. Aveva così nuovo impulso quella lunga opera di sistemazione e ornamento della basilica frutto di ripetuti interventi edilizi a cui parteciparono nei secoli tanti artefici illustri. Le risorse per tali interventi furono tratte soprattutto dalle donazioni dei fedeli. Le sistemazioni riguardarono anche i terreni circostanti, come nel 1288 quando si ottenne dal Comune il permesso di colmare il fosso delle vecchie mura che correva a meridione lungo tutto il complesso domenicano.
Nel 1246, e poi con approvazione del 1248, lo Studio Domenicano di Bologna divenne Studio generale come Montpellier, Oxford e Colonia; almeno dal 1286 fu sede dei legisti. In questo contesto la scuola domenicana si dotò di una biblioteca accresciuta sia dai religiosi e dai dottori sia dai vari studenti che facevano dono dei loro codici o al termine degli studi o nelle loro ultime volontà. Anche a San Domenico numerosi fedeli vollero essere sepolti presso la chiesa e le reliquie del santo e si sviluppò ben presto un vasto cimitero, che dal sagrato si espanse nei chiostri e vide, anche qua, preziose realizzazioni scultoree e architettoniche.
[Andrea]
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