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16 giugno 2010

Forlì

LA FONDAZIONE
La storia della presenza domenicana a Forlì è lunga e complessa. Sigismondo Marchesi, storico di Forlì della seconda metà del Seicento, ne fa risalire la presenza al 1218: "fu san Domenico stesso a far parte i Forliuesi del suo zelo Apostolico l’anno 1218, che però la Comunità, vedendo il frutto che si raccoglieva dalla predicatione del Santo, gli assegnò il luogo, dove dovesse ergere la Chiesa, e Monastero, come si raccoglie da i libri della sua Religione. Fu principiata dal medesimo Santo la fabbrica, consecrandola all’apostolo San Giacomo, secondo il costume, che s’osserua, che ebbe il Santo patriarca di dedicare le Chiese, e Conventi eretti al suo tempo al nome di qualche Apostolo."



La storia della fondazione ad opera del santo castigliano sembra essere tuttavia solo una leggenda. Infatti Gian Michele Fusconi, nella sua opera sui vescovi forlivesi, fa notare che San Domenico giunse alla fine del gennaio 1217 a Roma, proveniente dalla Linguadoca, per ottenere l’approvazione dell’ordine, e lì si trattenne fino ad ottobre; celebrò poi la festa di Ognissanti a Bologna e i primi giorni di dicembre tornò di nuovo in Francia: è difficile pensare che il santo, sempre ammesso che fosse passato dalla Romagna, si fosse fermato per creare nuove fondazioni. Lo stesso Fusconi dà più credito a Paolo Bonoli, che pone la fondazione del convento di Forlì attorno all’anno 1229.

Gli Ordini mendicanti che si erano stabiliti a Forlì, i Domenicani e i Francescani, suscitavano le invidie del clero secolare, a causa del fascino che esercitavano sui fedeli, e le preoccupazioni dei vescovi a causa dell’esenzione dalla loro giurisdizione di cui questi ordini godevano. Per porre rimedio a questa situazione nel 1255 papa Alessandro IV richiamò all’ordine il vescovo di Forlì perché ponesse fine alle sue molestie nei confronti dei Domenicani e dei Francescani.

I Domenicani acquistarono presto presso la popolazione stima e devozione tanto che nel 1293 e nel 1294 il Comune deliberò la fornitura annuale, per la festa di San Michele, di venti tonache o il corrispettivo in denaro per i padri domenicani di San Giacomo e tale disposizione venne inserita negli statuti comunali.

LA CITTA’ E IL LUOGO DEI DOMENICANI
Nel 1276 il Comune di Forlì per poter attraversare con una via pubblica il terreno dei Domenicani cercò un difficile accordo che prevedeva la permuta e la requisizione dei terreni e delle case da parte dei conventuali: la strada sarebbe passata presso il convento, il cimitero e il fossato pubblico, iniziando dal ponticello su detto fossato nella contrada di San Tommaso di Canterbury, per finire nella via pubblica della contrada di Faliceto dei mulini. In cambio di tale onere, che prevedeva anche la spesa per terreni e case di privati su cui sarebbe passata la nuova strada, i frati sarebbero entrati in possesso della vecchia via fra il loro orto, la domus Pomposiae e le case private. Se è difficile localizzare il tracciato esatto, emergono tuttavia dati importanti sulle fosse urbane e sulla localizzazione del convento. Le due costruzioni sono pressoché contemporanee: quella dei Domenicani risale al 1229; quella del “nuovo fossato”, che passava a ridosso dell’orto di San Domenico, ove in seguito rimase la via Chiaviche, risale al 1225.

Nell’area si individuano da questo momento linee di sviluppo urbano e luoghi di apparente abbandono, che accompagnano l’interramento progressivo delle fosse più interne, in vista dell’espansione che solo nel XV secolo si consolida nella cerchia delle mura. In questo ambito si è ancora lontani da un uso intensivo del suolo, ad esempio la contrada Feliceto, contigua all’orto di San Domenico, prende il nome dalle felci che crescevano rigogliose nel terreno umido lungo il canale non ancora del tutto regimato e lo stesso toponimo Valverde conferma la presenza di un ambiente ancora naturale. In generale essi si insediano strategicamente attorno ai nuclei urbani chiudendoli a poco a poco in una fitta cintura, tanto che già nel 1260 papa Alessandro IV cerca di limitarne la densità fissando, per gli insediamenti, una distanza minima tra di loro.

La formazione dei primi luoghi di culto degli Ordini mendicanti genera nel tempo un vero e proprio effetto di richiamo che si concretizza nella creazione di nuove piazze-borgo. Il terreno di pertinenza di questi poli di aggregazione determina poi lo spazio urbano: uno spazio che nelle città, e a Forlì in modo particolare, viene preservato integro almeno fino a tutto il XVIII secolo.
Ciò avviene non solo per una forma di rispetto verso le comunità religiose, ma anche perché dalla fine del XIII secolo si allenta la tensione demografica e la spinta economica della borghesia risulta depressa.

L’attuale quartiere fra Porta Ravaldino (demolita) e porta Schiavonia (ancora esistente) dove sorge il convento di San Domenico, è costituito da due distinte tipologie urbanistiche, che corrispondono anche a diverse fasi di crescita. L’espansione urbana era fittamente distribuita lungo le due direttrici che, oltre il Borgo di Mezzo, partivano dal ponte dei Morattini; l’una verso porta Schiavonia, proseguendo la via Emilia, e l’altra verso quella Liviense. Un’altra tipologia era quella delle grandi campiture verdi, spesso irrigue e con giardini ben regolati, in cui erano immersi i chiostri conventuali.

Una delle esigenze principali per il convento di San Domenico era l’approvvigionamento idrico per gli usi domestici e per irrigare gli orti. A questa esigenza corrispose, fin dai primi tempi, un’azione decisa del comune che nel 1327 autorizzò a portare acqua dal canale pubblico sopra al mulino di Faliceto, nei terreni, negli orti e nelle case dei frati Predicatori per le loro necessità, attraversando anche le proprietà altrui, prevedendo anche una sanzione per chi ponesse immondizie o impedimenti alla realizzazione di questo “acquedotto” .

[Andrea]

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