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13 giugno 2010

Faenza

I primi frati domenicani arrivano a Faenza nel 1223 provenienti dal convento di S. Niccolò delle Vigne di Bologna dove si erano formati direttamente alla scuola di san Domenico.

I DOMENICANI A S. VITALE
Dal convento di Bologna provengono fra Bene o Benedetto e i suoi compagni che fondono il convento di Faenza.
Faenza si trova sulla via Emilia, la principale via di comunicazione che congiunge nord e sud, ed è anche al centro della strada che congiunge Ravenna e il suo porto con la Toscana e il Mar Tirreno. Proprio questa sua felice posizione geografica favorisce il suo sviluppo e forse proprio per questi motivi viene scelta dai domenicani per fondare il loro primo convento in Romagna.
Il 5 luglio 1223 il vescovo di Faenza con il consenso del capitolo della cattedrale, dona a fra Bene la chiesa di S.Vitale, positam in suburbio portae Imolensis, situata nel sobborgo di Porta Imolese, con l’obbligo di non cederla a nessuno. Assieme alla chiesa il vescovo Alberto dona ai frati predicatori gli edifici annessi e il terreno circostante. Ai domenicani domanda solo che dimostrino a lui quella reverentia et oboedientia che fino ad allora avevano prestato al vescovo di Bologna. Quando arrivano a Faenza i domenicani trovano già presenti in città alcune comunità monastiche come i camaldolesi, i vallombrosani, i canonici regolari di S.Agostino. Gli ordini mendicanti non si sono ancora insediati e l’ordine dei Predicatori sarà il primo a giungere in città. I frati Minori arriveranno solo qualche anno dopo.


La comunità che si insedia a S.Vitale ha un rapido sviluppo e già nel 1230 è un convento formale. Questo significa che aveva almeno 12 frati e ciò è confermato dal fatto che il convento di Faenza aveva già il suo “priore”, un titolo che era riservato solo al superiore dei conventi propriamente detti, quelli appunto con almeno dodici frati.
Inoltre questa comunità, a quella data, gode già di grande stima presso la città e anche presso la Curia romana. Infatti il 17 giugno 1230 il pontefice Gregorio IX affida a fra Aicardo, priore degli agostiniani di S.Giorgio e ai domenicani fra Rinaldo, priore, e fra Paolo da Padova un incarico molto delicato. Bisognava trasferire i monaci del monastero di Sant’Adalberto in Pereo, in quanto la decadenza di quel monastero era ormai tale da non esservi più speranza di riforma, e privarli dei loro beni che dovevano poi essere destinati ad altre comunità religiose. Il 13 novembre del 1230 i legati pontifici si riuniscono presso il convento di S. Niccolò delle Vigne a Bologna e decidono di destinare alle monache domenicane di Sant’Agnese di Bologna i beni del monastero soppresso. Anche se san Domenico aveva voluto che i suoi frati praticassero la povertà evangelica, questo divieto non valeva per le monache. Anzi sin dall’inizio egli si preoccupò che esse avessero delle rendite sicure per provvedere alle loro necessità economiche.
Ben presto S.Vitale diviene troppo piccola per la comunità domenicana. Il numero dei frati è aumentato e la gente accorre sempre più numerosa ad ascoltare le loro prediche tanto che la chiesetta non riesce più a contenerle. Così dopo alcuni anni si impone la necessità di costruire una nuova chiesa più ampia e anche un vero convento. Bisogna tener presente che nel ‘200 le cosiddette chiese erano di fatto solo delle cappelle. La “chiesa” propriamente detta, nel senso moderno del termine, era la cattedrale, la chiesa del vescovo. Queste cappelle spesso erano parrocchie, ma servivano solo a piccoli gruppi di famiglie. Solo la chiesa del vescovo, la cattedrale, era chiesa di tutta la comunità cittadina.
Si poneva un interrogativo su come affrontare la situazione. I frati sono poveri e vivono di mendicità e non sono in grado di acquistare il terreno necessario per quelle costruzioni. I fedeli avrebbero certamente contribuito alla costruzione della chiesa e del convento, ma per cominciare bisognava procurarsi il terreno. Ed è a questo punto che il Comune viene incontro alle necessità dei frati. Il consiglio comunale, a grande maggioranza, delibera di donare ai domenicani il terreno necessario alle loro esigenze e domanda ai frati di scegliere loro stessi il luogo più adatto per la costruzione della chiesa, del convento e dell’orto.
Nei primi tempi della vita dell’ordine l’orto era molto importante perché forniva il necessario per l’alimentazione dei membri della comunità, oltre ad avere anche un’altra funzione, fondamentale per la vita religiosa, come vedremo più avanti. I domenicani scelgono un appezzamento di terreno vicino alle mura della città, non lontano da S.Vitale, nel sobborgo di Ganga. Il terreno è di proprietà di diversi cittadini e il comune lo acquista nell’agosto del 1231 e ne fa dono ai domenicani. Questo terreno si trova tra il fossato della città e il fossato dei borghi vicini alla città, nella pieve di S.Pietro, nella parrocchia di S.Vitale; sulla qual terra scorre un canale dell’acqua del comune di Faenza. Il terreno donato dal Comune ha un’estensione di circa 18.000 mq ed è sufficiente per soddisfare le esigenze dei frati. A questo terreno se ne aggiungerà poi un altro, donato il 17 giugno 1233 dai monaci di S.Maria fuori Porta, perché i domenicani vi costruiscano la loro chiesa.
Ottenuto il terreno dal Comune iniziano i lavori per la costruzione della chiesa e del convento, ma data la povertà della comunità i lavori procedono a rilento e avanzano man mano che giungono le offerte dei fedeli. Nel 1242 la costruzione della chiesa è già a buon punto e il 12 agosto di quell’anno un certo Giovanni Rontatosio fa un lascito a favore della costruzione della chiesa e domanda di essere sepolto in essa.
Intanto cominciano ad affluire al convento donazioni di beni immobili, specialmente terreni. Sono legati testamentari con precise finalità: in genere suffragi o per assistere i poveri. Questo non è gradito a tutti e suscita malumori soprattutto tra i parenti dei testatori che vedono sfumare parte di una possibile eredità e qualcuno si domanda se ricevere beni immobili non contrasti con la loro professione di povertà evangelica. Forse gli stessi domenicani si pongono gli stessi interrogativi, in quanto san Domenico stesso aveva vietato ai suoi frati di ricevere beni immobili che dessero dei redditi. Il problema non interessa solo il convento di Faenza: è un problema generale che interessa tutto l’Ordine domenicano, perché tutti i conventi cominciano a ricevere beni di questo genere. Così se ne discute e si è divisi: da una parte si vuole osservare la norma delle Costituzioni che proibisce di possedere beni immobili e dall’altra non si sa come rifiutare quei lasciti testamentari destinati alla celebrazione dei defunti. A risolvere il problema interviene Papa Clemente IV che il 20 giugno 1265 dichiara che i domenicani hanno piena facoltà di ricevere beni immobili, perché i loro redditi non sono destinati al convento ma sono destinati a beneficio del medesimo testatore o dei poveri.
Nel 1265 la costruzione della chiesa è ormai ultimata e ci si prepara alla sua consacrazione che avviene il 13 settembre ad opera del vescovo di Faenza Giacomo Petrelli ed è intitolata a sant’Andrea Apostolo. Purtroppo non è rimasto nulla di quell’antica chiesa. Con l’altare maggiore vengono anche consacrati altri tre altari dedicati alla beata Vergine, a san Domenico e a san Paolo. Dopo la consacrazione della chiesa aumentano i lasciti testamentari e le richieste dei faentini a essere sepolti in Sant’Andrea. Presto la chiesa diventa un sepolcreto e per soddisfare le richieste anche il chiostro e il sacrato della chiesa sono destinati a cimitero.
Contemporaneamente alla chiesa viene costruito il convento. Anche questa costruzione va avanti lentamente seguendo il ritmo delle offerte dei fedeli. E le offerte non mancano perché la gente ammira lo zelo apostolico e l’austerità della vita di quei frati e va incontro alle loro necessità. Inoltre molto frequentemente i frati domenicani sono chiamati a svolgere il delicato compito di esecutori testamentari.
Nel 1258 Giovanni Marescotti dona alla comunità domenicana un buon appezzamento di terreno che confina con la proprietà del convento e che viene così ad ampliare il terreno destinato all’orto. Il convento viene costruito tra la chiesa e le mura della città e un canale lo separa dalla proprietà del comune. Centro del convento è il chiostro attorno al quale sono distribuiti, su due piani, tutti i locali necessari alla vita della comunità. Un lato del chiostro comunica con la sacrestia, mentre al piano terreno si trovano la sala del capitolo, il refettorio, l’infermeria, l’ospizio e la rasura. Nel piano superiore ci sono il dormitorio, che è un lungo corridoio con le celle disposte a destra e a sinistra e la biblioteca. Vicino al refettorio, ma fuori dall’ambito del chiostro, c’è la cucina e poi la legnaia, il granaio, la dispensa-magazzino, il forno e il locale lavanderia. Oltre alla costruzione della chiesa e del convento i domenicani si preoccupano di circondarsi di uno spazio che li isoli dall’esterno. L’orto, oltre ad avere un valore economico, serve anche per assicurare la “clausura conventuale”. La clausura per il domenicano è un mezzo essenziale per osservare i doveri della vita religiosa e che gli permette di realizzare la vita di raccoglimento e di contemplazione propria del frate predicatore.
Fin dalle origini il convento dei domenicani è considerato una sacra praedicatio e una “casa delle contemplazione” e proprio la clausura aiuterà a creare quell’atmosfera necessaria per farne crescere lo spirito. Per questo lo spazio dell’orto verrà custodito gelosamente anche quando, gravati dai debiti, saranno tentati di venderlo. Per meglio assicurare la clausura il consiglio conventuale decide di far alzare il muro dell’orto e di non dare più in affitto una casetta vicino alla vesteria, nella quale alcuni secolari riponevano gli attrezzi agricoli.
LA CONGREGAZIONE DELLA BEATA VERGINE
Verso la metà del ‘200 viene fondata presso il convento una congregazione in onore della Madonna e questo accade anche presso molti altri conventi domenicani dove vengono erette confraternite o congregazioni in difesa della fede e in onore della beata Vergine Maria. Queste congregazioni mariane non hanno solo uno scopo devozionale; sono associazioni di credenti decisi a professare pubblicamente la propria fede e a diffonderla, questo anche per testimoniare la propria fede nei privilegi di Maria Madre di Dio di fronte agli eretici che negavano la sua divina maternità.
LO STUDIUM ARTIUM
Nel convento di Faenza viene anche istituito uno Studium per l’insegnamento delle artes, cioè di quelle materie umanistiche e filosofiche che preparavano i giovani novizi agli studi di teologia. Nel 1259 il capitolo generale di Valenciennes ordina che in ogni provincia venga istituito almeno uno di questi Studi per la formazione dei novizi e la provincia di Lombardia sceglie proprio il convento di Faenza come sede di uno di questi Studi, che si affiancava dunque allo Studium generale dell’ordine che aveva sede a Bologna. Quindi dal 1260 cominciano ad affluire in questo convento novizi provenienti dai conventi vicini, per frequentare gli studi umanistici e filosofici per poi passare a Bologna per studiare teologia.
Oltre alla predicazione e all’insegnamento i domenicani a Faenza svolgono anche un’attività di carattere sociale. In genere quando si fanno particolarmente acuti i contrasti tra le opposte fazioni, i faentini, per salvare i loro beni più preziosi, li affidano ai domenicani e ai francescani. Nel 1299 il priore dei domenicani, fra Agnello da Faenza, è impegnato a portare pace fra il Comune di Bologna e i bolognesi appartenenti alla fazione dei Lambertazzi che si erano rifugiati in Romagna. Costui riesce a riunire le parti avverse a Monte del Re presso Castel San Pietro Terme per discutere la bozza di trattato redatta dallo stesso fra Agnello. Così dopo vari incontri il 4 maggio 1299 si giunge all’accordo desiderato: ritorna così la pace tra il Comune di Bologna e i Comuni della Romagna.
[Andrea]

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