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20 giugno 2010

Ravenna

Ravenna nel medioevo ha ospitato sul suo territorio, oltre ai tanti ordini monastici, anche l’ordito quasi completo degli ordini mendicanti. Si tratta dei francescani, dei domenicani, degli agostiniani, dei serviti e dei carmelitani. Per quanto importanti siano stati i monasteri benedettini nella storia delle istituzioni religiose di Ravenna medievale è con l’azione dei mendicanti che la città esprime la sua religiosità nei secoli del tardo Medioevo.

Per meglio comprendere questa parte importante della storia della città è necessario approfondire il rapporto esistente nell’assetto urbano, tra la popolazione, le chiese cittadine e gli ordini mendicanti; inoltre la minore consistenza del patrimonio fondiario degli ordini mendicanti rispetto a quelli monastici non li pone in concorrenza con la proprietà arcivescovile nel territorio della Romagna, del Montefeltro e del Ferrarese. Un arcivescovo della statura di Bonifacio Fieschi (1275-1294) è anzitutto un frate domenicano e anche se in tutta la documentazione archivistica appare come dominus egli tuttavia rimane frater. La stessa ubicazione dei conventi, nel cuore della città, mette i mendicanti a diretto contatto con le case, le piazze, i mercati, le botteghe: in poche parole con il popolo.
Le basiliche e le chiese parrocchiali avevano già alla fine del primo millennio numerosi altari dedicati ai santi; ora i mendicanti, con i numerosi altari delle loro chiese, con il culto dei recenti santi medievali, con la venerazione delle loro reliquie arricchiscono in maniera straordinaria il patrimonio processionale e di calendario del culto e della liturgia.



L’elenco delle chiese ravennati, lo sviluppo degli oratori di corporazioni, confraternite, ospedali, le norme sulle processioni emanate dall’autorità religiosa e da quella civile, rafforzano l’importanza della presenza religiosa dei mendicanti nella storia medievale di Ravenna. I Domenicani, fin dall’inizio, costruiscono la propria chiesa e il proprio convento al centro della urbs romana, nella regione del Campidoglio, grazie anche al concorso degli arcivescovi e della municipalità. La loro presenza ha rappresentato una tradizione religiosa di insegnamento della teologia scolastica fedele ai metodi e agli indirizzi medievali delle scienze sacre.

Dopo gli eventi della traslazione del corpo di San Domenico, a cui assistette come delegato del papa l’arcivescovo di Ravenna, della sua canonizzazione e della tumulazione del suo corpo nell’arca di marmo e data la dipendenza che la diocesi bolognese aveva nei confronti di quella di Ravenna non poteva essere che i domenicani rimanessero a lungo senza una organica presenza nella capitale della provincia ecclesiastica. Al problema di avere immediatamente un edificio di culto per i frati stessi, si provvide con atto del notaio Artusino di Cambio che nella sacrestia della basilica di S. Giovanni Evangelista alla presenza dei maggiorenti del clero e dell’abate Benvenuto davano corpo alla volontà del “venerabile padre e signore arcivescovo Filippo di avere, indurre e piantare l’ordine dei frati predicatori nelle città di Ravenna ad onore di Dio, per la salute delle anime e per il buono stato della stessa città di Ravenna”. A questo scopo i benedettini cedono ai domenicani la chiesa di Santa Maria in Gallope con il suolo intorno, le fabbriche, gli accessi, le possessioni e tutti i diritti che la stessa chiesa aveva. Con il tempo i domenicani potranno demolire il complesso di queste fabbriche per costruire una chiesa più grande, con annesso convento e chiostro: è quanto ora vediamo come chiesa di San Domenico. Gli attori furono frate Ugolino, sottopriore del convento di Faenza e Gerardo de Valero da Parma che rappresentava la nascente comunità di Ravenna. Il cimitero della comunità si situerà nella piccola piazza antistante la chiesa attuale. Il convento, che avrà anche una scuola di teologia per i novizi, si era dotato di una biblioteca e di un archivio.

Dalla situazione edificatoria ed economico-finanziaria di partenza, dalle offerte che in atti testamentari non pochi fedeli lasciano al convento domenicano si comprende che ci fu molta determinazione nel processo di fondazione e nei positivi sviluppi immediatamente successivi. Del resto all’arcivescovo Filippo successe i domenicano fra Bonifacio Fieschi che trova il modo di promuovere le imprese dei mendicanti. La comunità domenicana, oltre a un’intensa azione pastorale, si adoperò per una complessiva opera di mediazione e pacificazione, che si affiancano alla tutela dell’ortodossia contro l’eresia.

Non vi sono particolari documenti che provino una attenzione particolare dell’arcivescovo Bonifacio per i domenicani ravennati, ma tutto conduce a credere che il periodo del suo episcopato, quasi venti anni, fosse propizio all’espansione del convento ravennate, non tanto per l’azione diretta dell’arcivescovo stesso, che sarà protagonista di legazioni all’estero, quanto per il clima religioso e politico che si era instaurato in quel tempo.

[Andrea]

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