Il primo intervento nel ferrarese dei domenicani si intreccia con quello delle suore del monastero domenicano di s. Agnese di Bologna. Quando a Falcone, abate del monastero benedettino di S. Adalberto in Pereo, successe l’abate Giovanni, i monaci di quella comunità esposero a Gregorio IX i danni che l’atteggiamento ghibellino del precedente abate aveva arrecato al monastero. Il pontefice allora incaricò alcuni domenicani di svolgere un sopralluogo; questi riferirono che l’unico rimedio per la situazione che si era venuta a creare era quello di affidare il monastero ad un altro ordine. Gregorio IX affidò questo compito il 17 giugno 1230 a tre religiosi: Aicardo priore di S. Giorgio in Ferrara e a due domenicani, fra Rinaldo priore del convento domenicano di Faenza e a fra Paolo da Padova. Costoro il 13 novembre 1230 decisero di riformare S. Adalberto a Cella Volana.
A questa riforma seguono due smembramenti: la pieve di Buda, situata tra il bolognese e il ravennate, passa da S. Adalberto alle domenicane di Bologna e la parrocchia ferrarese di S. Paolo di Ripagrande da S. Adalberto all’arcivescovo di Ravenna (nel 1237) in cambio di una piena autonomia per Cella e S. Adalberto. Inoltre sempre in quel 13 novembre 1230 Gregorio IX, considerate le necessità delle povere suore di S. Agnese di Bologna, che si distinguono “per la loro vita onorevole e per la loro devozione e il fervore”, concede al loro sindaco Orabono “tutti i diritti, possessioni, corporali e incorporali, foreste, diritti di pesca e ogni altro diritto che apparteneva al monastero di S. Adalberto e dandoli in usufrutto”.
È certamente una questione difficile da risolvere quella che riguarda la tarda presenza dell’insediamento dei domenicani a Ferrara. Giunti a Bologna probabilmente già nel 1217 a motivo della sede universitaria si stabiliscono poi, tra il 1221-1222, a Piacenza, Parma, Faenza e Forlì. In questo primo periodo essi sono assenti dalle città estensi come Ferrara, Modena e Reggio. Un primo elemento per spiegare ciò è la presenza dominante nel comune ferrarese di Salinguerra II Torelli, vicino a Federico II, che procurerà al cardinale Ugolino di Ostia, il futuro Gregorio IX, le più ardue difficoltà. Anche se dal 1221 in poi accanto a Federico II, ora in buoni rapporti con la S. Sede e con il cardinal legato, c’è Azzo VII d’Este tuttavia, dal 1224 al 1239, Salinguerra riuscirà a consolidarsi come “solo ed incontrollato padrone della città”.
Una ripresa nella cura d’anime è avvertibile da parte del capitolo soprattutto con l’avvento di papa Gregorio IX, la cui riforma pastorale aveva sollecitato la promozione della presenza di predicatori fra il clero secolare. Sono gli anni, dal 1222 al 1238, nei quali il capitolo vede insidiato il proprio patrimonio e i connessi diritti immunitari da un complesso panorama feudale, per cui l’appoggio del comune salinguerriano è imprescindibile. Gregorio IX ha inoltre un motivo particolare per sostenere la linea del clero capitolare ferrarese nel facilitare la nomina a vescovo del preposto Garsendino, e più precisamente i diritti che la S. Sede ha su Massafiscaglia e sui ripatici di Ferrara e Ficarolo che localmente sono difendibili solo nel quadro degli interessi del clero.
La presa di possesso della città da parte di Salinguerra nel 1224 doveva quindi essere salutata come una distensione dal vescovo, dal capitolo e dalla stessa S. Sede, che già prima del 20 novembre 1213 si era vista occupata la propria Massa di Ficarolo dagli Estensi, esponenti sempre più scoperti delle mire di Venezia sulla città. In questo contesto, se già risultò difficile l’introduzione dei minori, ancora più ardua e tarda doveva riuscire quella dei domenicani. È nel ripiegamento del moto dell’Alleluia nel 1233-1235, resosi da gioioso a penitenziale, verso impegni di costruzione di chiese e di confraternite che sembra di scorgere il momento dell’inserimento dei domenicani a Ferrara. La probabile presenza dei catari in città non poteva non portare la politica cittadina filoezzeliniana a tenere lontana la presenza dell’inquisizione dei domenicani al riguardo.
Solo dopo il moto dell’Alleluia, Salinguerra non si poté sottrarre dall’introdurre i domenicani in città. Il primo accenno ci porta al 21 maggio 1235. L’abbadessa Costanza delle benedettine di S. Andrea d Ravenna, insieme alle sue sette monache designano Vitale Rotto loro procuratore perché nomini arbitri nella questione vertente tra esse e le monache benedettine di S. Silvestro di Ferrara il cardinale Giacomo di Ravenna e Omobono dottore di leggi di Ferrara. Qualora questi non siano concordi nella risoluzione dovranno assumere a terzo giudice e rimettersi alla sua decisione il priore dei frati Predicatori di Ferrara. La questione verteva sui confini -“vallis terrae paludi nemoris Bozoleti, et eiuspertinentiis in eadem positis et de omnibus aliis quaestionibus quae vertuntur vel verti possent…in praedictis vel supra praedictis possessioni bus positis infra totum Pollicinum S. Georgii usque ad pozalem Capitis Sandali”-. È questa la zona in cui andranno a stabilirsi nel Duecento avanzato i frati Predicatori. La designazione degli arbitri, anche se decisa unilateralmente dalle monache benedettine di Ravenna, attesta la stima già acquisita da parte dei domenicani a Ravenna e a Ferrara in materia di concordie.
Un’altra occasione di insediamento dei frati predicatori nel ferrarese è quella offerta dal tentativo di riforma di Cella Volana, con l’intento di sostituzione dei canonici regolari che la presidiavano con i figli di s. Domenico e in questo tentativo di riforma il 20 novembre 1237 Gregorio IX, su sollecitazione dei domenicani, si rivolge all’arcivescovo di Ravenna, al vescovo di Comacchio e al priore provinciale dei frati predicatori di Lombardia. Per parola del papa gli stessi canonici di Cella aspiravano ad una autoriforma, suscitata forse dal raffronto con i domenicani con cui condividevano la regola di sant’Agostino, ma il papa è comunque per una riforma nella continuità, prevedendo però, in caso di accertata impossibilità, l’introduzione di un nuovo ordine.
Il venerdì di passione 26 marzo 1238, in un contesto che poteva essere di raduno religioso penitenziale abbiamo il primo accenno diretto al convento e alla chiesa dei domenicani di Ferrara: si tratta di una modesta compravendita, che così si articola: “Guido di Farolfo della contrada di S. Tommaso per sé e suoi vende a Benventurata per sé e suoi una pezza di terra vignata posta in Ferrara nel quartiere Vado in contrada S. Andrea, misurante nel capo superiore due pertiche (ferraresi) e sei piedi, nell’inferiore tre pertiche e mezza, da un lato, per il lungo, trenta pertiche; per l’altro lato la pergamena presenta uno spazio vuoto. Il prezzo concordato è di sei lire imperiali, già percepite”. In questo modo si viene a delineare quel triangolo urbanistico che ha il vertice in S. Domenico e le basi in S. Francesco (minorita) e in S. Andrea (agostiniano).
Tuttavia i domenicani non riscuotono molto successo quando si tratta di lasciti testamentari. Ad esempio molto incidentale è il ricordo per i domenicani in un testamento del 20 febbraio 1275 di Vivelda, vedova di Guidolino de Beis, che dimorava in una casa degli eremitani in contrada S. Andrea, e che su cento lire ferrarine destinate a legati, prevede appena un lascito di 10 soldi ai predicatori e ai minori, 20 a S. Paolo, carmelitano, e a S. Caterina, per quello che attiene il mondo mendicante, nel quale prevale l’attenzione verso gli agostiniani non legati ad obblighi di povertà comunitaria e particolarmente graditi a fasce garantistiche della società ferrarese.
Un caso diverso dal solito è il testamento di Guidoberto dell’8 luglio 1281 in cui si stabilisce che la rendita di una pezza di terra in Fossanova rimanga sempre a vantaggio dei poveri di Cristo (frati predicatori, minori, eremitani …). È la prima volta che i religiosi mendicanti, addirittura i frati Predicatori, sono collocati al primo posto fra i poveri di Cristo, inaugurando in tal modo un nuovo concetto di elemosina a Ferrara.
È forse riferibile, almeno in parte, alla presenza dei saccati in S. Paolo la congregatio laica della Madonna Regina dei cieli a vantaggio dei poveri vergognosi. Potrebbe essere che in origine, alla base di questa congregazione mariana per i poveri, fosse quel gruppo di frati di penitenza regolari che erano i Saccati o/e l’altro similare laico che volgeva verso il non lontano S. Domenico.
Per l’ipotesi che conduce più direttamente ai domenicani possono richiamarsi alcune considerazioni: il particolare che i membri della congregatio siano denominati nell’atto del 1314 fratres lascia supporre che fossero tali in quanto appartenenti all’ordo de poenitentia s. Dominici, mentre la congregatio della Vergine Gloriosa non sarebbe altro che una confraternita di ispirazione domenicana, destinata al soccorso dei poveri verecondi, i cui membri si ponevano in emulazione nel campo caritativo con i fratres de poenitentia s. Francisci o per meglio dire con quelli che piegavano verso il mondo francescano. Fra i due gruppi intercorrono anche buoni rapporti come testimonia fra Guglielmo Iudicelli che nomina come suoi esecutori testamentari i ministri del gruppo francescano.
Più ridotto rispetto ai francescani è l’ambito dei compiti demandato ai domenicani dallo statuto comunale del 1287: a parte naturalmente il ruolo nell’inquisizione, ai predicatori resta specifico solo il compito della custodia del quaderno elencante le garanzie per chi ha provveduto a soddisfarsi dai beni di estranei alla città. A differenza dei contributi per i miglioramenti da portarsi alle chiese dei minori e degli eremitani, non è previsto un particolare intervento del comune per quella dei predicatori.
Il Duecento ferrarese dei domenicani è a consenso più circoscritto di quello riservato ai minori; se questi ultimi raggiunsero 44 lasciti dal 1227 al 1306, i domenicani raggiunsero invece quota 27 tra il 1247 e il 1306. Non molto diversa è la situazione per quanto riguarda la prima metà del ‘300: 111lasciti ai minori e 74 ai domenicani.
Il secolo si conclude con una separazione di luoghi fra convento e Inquisizione che forse implica una più chiara distinzione di competenze e di metodi, alla vigilia di un nuovo secolo che conoscerà ben presto una forte accentuazione del ruolo dell’Inquisizione nella diatriba tra Estensi e S. Sede (1304-1332).
[Andrea]
A questa riforma seguono due smembramenti: la pieve di Buda, situata tra il bolognese e il ravennate, passa da S. Adalberto alle domenicane di Bologna e la parrocchia ferrarese di S. Paolo di Ripagrande da S. Adalberto all’arcivescovo di Ravenna (nel 1237) in cambio di una piena autonomia per Cella e S. Adalberto. Inoltre sempre in quel 13 novembre 1230 Gregorio IX, considerate le necessità delle povere suore di S. Agnese di Bologna, che si distinguono “per la loro vita onorevole e per la loro devozione e il fervore”, concede al loro sindaco Orabono “tutti i diritti, possessioni, corporali e incorporali, foreste, diritti di pesca e ogni altro diritto che apparteneva al monastero di S. Adalberto e dandoli in usufrutto”.
È certamente una questione difficile da risolvere quella che riguarda la tarda presenza dell’insediamento dei domenicani a Ferrara. Giunti a Bologna probabilmente già nel 1217 a motivo della sede universitaria si stabiliscono poi, tra il 1221-1222, a Piacenza, Parma, Faenza e Forlì. In questo primo periodo essi sono assenti dalle città estensi come Ferrara, Modena e Reggio. Un primo elemento per spiegare ciò è la presenza dominante nel comune ferrarese di Salinguerra II Torelli, vicino a Federico II, che procurerà al cardinale Ugolino di Ostia, il futuro Gregorio IX, le più ardue difficoltà. Anche se dal 1221 in poi accanto a Federico II, ora in buoni rapporti con la S. Sede e con il cardinal legato, c’è Azzo VII d’Este tuttavia, dal 1224 al 1239, Salinguerra riuscirà a consolidarsi come “solo ed incontrollato padrone della città”.
Una ripresa nella cura d’anime è avvertibile da parte del capitolo soprattutto con l’avvento di papa Gregorio IX, la cui riforma pastorale aveva sollecitato la promozione della presenza di predicatori fra il clero secolare. Sono gli anni, dal 1222 al 1238, nei quali il capitolo vede insidiato il proprio patrimonio e i connessi diritti immunitari da un complesso panorama feudale, per cui l’appoggio del comune salinguerriano è imprescindibile. Gregorio IX ha inoltre un motivo particolare per sostenere la linea del clero capitolare ferrarese nel facilitare la nomina a vescovo del preposto Garsendino, e più precisamente i diritti che la S. Sede ha su Massafiscaglia e sui ripatici di Ferrara e Ficarolo che localmente sono difendibili solo nel quadro degli interessi del clero.
La presa di possesso della città da parte di Salinguerra nel 1224 doveva quindi essere salutata come una distensione dal vescovo, dal capitolo e dalla stessa S. Sede, che già prima del 20 novembre 1213 si era vista occupata la propria Massa di Ficarolo dagli Estensi, esponenti sempre più scoperti delle mire di Venezia sulla città. In questo contesto, se già risultò difficile l’introduzione dei minori, ancora più ardua e tarda doveva riuscire quella dei domenicani. È nel ripiegamento del moto dell’Alleluia nel 1233-1235, resosi da gioioso a penitenziale, verso impegni di costruzione di chiese e di confraternite che sembra di scorgere il momento dell’inserimento dei domenicani a Ferrara. La probabile presenza dei catari in città non poteva non portare la politica cittadina filoezzeliniana a tenere lontana la presenza dell’inquisizione dei domenicani al riguardo.
Solo dopo il moto dell’Alleluia, Salinguerra non si poté sottrarre dall’introdurre i domenicani in città. Il primo accenno ci porta al 21 maggio 1235. L’abbadessa Costanza delle benedettine di S. Andrea d Ravenna, insieme alle sue sette monache designano Vitale Rotto loro procuratore perché nomini arbitri nella questione vertente tra esse e le monache benedettine di S. Silvestro di Ferrara il cardinale Giacomo di Ravenna e Omobono dottore di leggi di Ferrara. Qualora questi non siano concordi nella risoluzione dovranno assumere a terzo giudice e rimettersi alla sua decisione il priore dei frati Predicatori di Ferrara. La questione verteva sui confini -“vallis terrae paludi nemoris Bozoleti, et eiuspertinentiis in eadem positis et de omnibus aliis quaestionibus quae vertuntur vel verti possent…in praedictis vel supra praedictis possessioni bus positis infra totum Pollicinum S. Georgii usque ad pozalem Capitis Sandali”-. È questa la zona in cui andranno a stabilirsi nel Duecento avanzato i frati Predicatori. La designazione degli arbitri, anche se decisa unilateralmente dalle monache benedettine di Ravenna, attesta la stima già acquisita da parte dei domenicani a Ravenna e a Ferrara in materia di concordie.
Un’altra occasione di insediamento dei frati predicatori nel ferrarese è quella offerta dal tentativo di riforma di Cella Volana, con l’intento di sostituzione dei canonici regolari che la presidiavano con i figli di s. Domenico e in questo tentativo di riforma il 20 novembre 1237 Gregorio IX, su sollecitazione dei domenicani, si rivolge all’arcivescovo di Ravenna, al vescovo di Comacchio e al priore provinciale dei frati predicatori di Lombardia. Per parola del papa gli stessi canonici di Cella aspiravano ad una autoriforma, suscitata forse dal raffronto con i domenicani con cui condividevano la regola di sant’Agostino, ma il papa è comunque per una riforma nella continuità, prevedendo però, in caso di accertata impossibilità, l’introduzione di un nuovo ordine.
Il venerdì di passione 26 marzo 1238, in un contesto che poteva essere di raduno religioso penitenziale abbiamo il primo accenno diretto al convento e alla chiesa dei domenicani di Ferrara: si tratta di una modesta compravendita, che così si articola: “Guido di Farolfo della contrada di S. Tommaso per sé e suoi vende a Benventurata per sé e suoi una pezza di terra vignata posta in Ferrara nel quartiere Vado in contrada S. Andrea, misurante nel capo superiore due pertiche (ferraresi) e sei piedi, nell’inferiore tre pertiche e mezza, da un lato, per il lungo, trenta pertiche; per l’altro lato la pergamena presenta uno spazio vuoto. Il prezzo concordato è di sei lire imperiali, già percepite”. In questo modo si viene a delineare quel triangolo urbanistico che ha il vertice in S. Domenico e le basi in S. Francesco (minorita) e in S. Andrea (agostiniano).
Tuttavia i domenicani non riscuotono molto successo quando si tratta di lasciti testamentari. Ad esempio molto incidentale è il ricordo per i domenicani in un testamento del 20 febbraio 1275 di Vivelda, vedova di Guidolino de Beis, che dimorava in una casa degli eremitani in contrada S. Andrea, e che su cento lire ferrarine destinate a legati, prevede appena un lascito di 10 soldi ai predicatori e ai minori, 20 a S. Paolo, carmelitano, e a S. Caterina, per quello che attiene il mondo mendicante, nel quale prevale l’attenzione verso gli agostiniani non legati ad obblighi di povertà comunitaria e particolarmente graditi a fasce garantistiche della società ferrarese.
Un caso diverso dal solito è il testamento di Guidoberto dell’8 luglio 1281 in cui si stabilisce che la rendita di una pezza di terra in Fossanova rimanga sempre a vantaggio dei poveri di Cristo (frati predicatori, minori, eremitani …). È la prima volta che i religiosi mendicanti, addirittura i frati Predicatori, sono collocati al primo posto fra i poveri di Cristo, inaugurando in tal modo un nuovo concetto di elemosina a Ferrara.
È forse riferibile, almeno in parte, alla presenza dei saccati in S. Paolo la congregatio laica della Madonna Regina dei cieli a vantaggio dei poveri vergognosi. Potrebbe essere che in origine, alla base di questa congregazione mariana per i poveri, fosse quel gruppo di frati di penitenza regolari che erano i Saccati o/e l’altro similare laico che volgeva verso il non lontano S. Domenico.
Per l’ipotesi che conduce più direttamente ai domenicani possono richiamarsi alcune considerazioni: il particolare che i membri della congregatio siano denominati nell’atto del 1314 fratres lascia supporre che fossero tali in quanto appartenenti all’ordo de poenitentia s. Dominici, mentre la congregatio della Vergine Gloriosa non sarebbe altro che una confraternita di ispirazione domenicana, destinata al soccorso dei poveri verecondi, i cui membri si ponevano in emulazione nel campo caritativo con i fratres de poenitentia s. Francisci o per meglio dire con quelli che piegavano verso il mondo francescano. Fra i due gruppi intercorrono anche buoni rapporti come testimonia fra Guglielmo Iudicelli che nomina come suoi esecutori testamentari i ministri del gruppo francescano.
Più ridotto rispetto ai francescani è l’ambito dei compiti demandato ai domenicani dallo statuto comunale del 1287: a parte naturalmente il ruolo nell’inquisizione, ai predicatori resta specifico solo il compito della custodia del quaderno elencante le garanzie per chi ha provveduto a soddisfarsi dai beni di estranei alla città. A differenza dei contributi per i miglioramenti da portarsi alle chiese dei minori e degli eremitani, non è previsto un particolare intervento del comune per quella dei predicatori.
Il Duecento ferrarese dei domenicani è a consenso più circoscritto di quello riservato ai minori; se questi ultimi raggiunsero 44 lasciti dal 1227 al 1306, i domenicani raggiunsero invece quota 27 tra il 1247 e il 1306. Non molto diversa è la situazione per quanto riguarda la prima metà del ‘300: 111lasciti ai minori e 74 ai domenicani.
Il secolo si conclude con una separazione di luoghi fra convento e Inquisizione che forse implica una più chiara distinzione di competenze e di metodi, alla vigilia di un nuovo secolo che conoscerà ben presto una forte accentuazione del ruolo dell’Inquisizione nella diatriba tra Estensi e S. Sede (1304-1332).
[Andrea]
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