Non possiamo sprecare la nostra vita. Il Signore con questa parabola ci esorta ad entrare nel novero dei servi fedeli che spendono la loro vita nell’operosità fedele. I due servi che ci vengono presentati, il fannullone e il fedele, rappresentano due stati interiori, la perenne oscillazione in cui si imbatte l’anima cristiana: la tiepidezza ed il fervore. Analizziamoli brevemente.
La tiepidezza
La persona tiepida è come un fuoco che non riscalda più, un uomo che fa il furbo e vive ammazzando il tempo. Tuttavia ciò che a prima vista può apparire come scaltrezza in realtà è grande stoltezza. Chi ammazza il tempo ammazza il suo Cielo, la sua salvezza. Alla radice del comportamento tiepido troviamo in definitiva l’egoistica convinzione di chi considera il tempo come sua proprietà e non come dono del Cielo. In realtà il tempo non è nostro ma ci è stato affidato per portare frutto, glorificando Dio. San Tommaso ci insegna che la tiepidezza produce sei nefaste conseguenze: la mancanza di speranza, un’immaginazione sfrenata (evagatio mentis), torpore e pigrizia spirituale, la pusillanimità, rancore e spirito critico, malvagità. (Summa Theologiae, II-II, q. 35, a. 4).
Il fervore
Come possiamo vivere in fervore scampando così dal virus della tiepidezza? Gesù, come sempre, viene in nostro soccorso. La fedeltà nelle piccole cose è indice di finezza interiore e di un cuore magnanimo e ricco d’amore. Noi frati studenti che ci prepariamo al sacerdozio siamo, in potenza, ministri di Dio. Un domani amministreremo i Sacramenti di Dio e tratteremo le cose sante così come oggi svolgiamo le nostre piccole responsabilità quotidiane e i nostri incarichi. Dobbiamo convincerci che il nemico più pericoloso della roccia non è il piccone ma è quell’acqua, in apparenza insignificante, che penetra goccia a goccia fino a disgregarne la struttura interna. Il pericolo più grande del cristiano dunque consiste nel disdegnare la lotta nelle piccole cose che se tralasciata, rende a poco a poco l’anima fredda, molle e insensibile ai richiami divini.
Non è tempo dunque di scoraggiamento o tristezza ma di vigoroso impegno nel servizio divino. Non inquietiamoci se constatiamo la nostra pochezza o la penuria di talenti, ma insieme al Crisostomo affermiamo: “Nessuno dica: dispongo solo di un talento, non posso guadagnarci nulla. Anche con un solo talento puoi operare in modo meritorio”. (In Matthaeum homiliae, 78, 3).
Fr. Daniele Benedetto M. Cassani o.p.
Nessun commento:
Posta un commento