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24 febbraio 2015

Arda come una lampada il nostro cuore

La lampada, che arde di fronte all'Arca, ricorda la nostra preghiera per i nostri confratelli e per tutti coloro che ci sono vicini.
Durante la permanenza del popolo israelita nel deserto, Yahwhe ordinò a Mosè di costruire una sorta di santuario smontabile, adatto agli spostamenti del periodo nomadico. 
Il Signore parlò a Mosè dicendo: "Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l'illuminazione, per tener sempre accesa una lampada. Nella tenda del convegno, al di fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza, Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione.” (Esodo, 27, 20.21)
Tra le tante cose che Dio indica per la costruzione di questo santuario, Egli non fa mancare un segno visibile e tangibile: una lampada, cioè, che doveva ardere davanti al Signore giorno e notte, senza mai spegnersi. Una luce, questa, che avrebbe ricordato a tutto il popolo che Yahwhe era il Signore, l'unico, e che per tale ragione meritava di essere onorato e riverito. È lo stesso Dio che ricorderà nel Decalogo il motivo di questa “unicità” di rapporto: “Il sono il Signore Dio tuo, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile”. Un Dio, insomma, che richiede al suo popolo di non cadere nella schiavitù di un falso politeismo, ma di servire e seguire lui solo. 

Mi piace però pensare che questa lampada non serviva solo per ardere in segno di rispetto nei confronti di Dio, ma anche per ricordare al popolo giudaico che Yahwhe era con loro. Lo esprimerà bene il profeta Ezechiele quando dirà: “In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”.  Questa semplice lampada, dunque, ha un duplice significato, una duplice direzione di "interessi": dell'uomo verso Dio (con l'onore, il rispetto, il culto, etc.), ma anche di Dio per l'uomo (con la vicinanza, l'interesse, etc.). 

Questa lampada ardeva dunque giorno e notte davanti al Signore, come anche oggi nelle nostre chiese e cappelle arde sempre un cero a segnalare la presenza di Cristo nell'Eucarestia con il suo corpo, sangue, anima e divinità. Ed anche qui, ne sono sicuro, c'è un duplice movimento: dall'uomo verso Dio, (per pregarlo, ringraziarlo, etc.), come anche da Dio verso l'uomo: egli è infatti un Dio vicino, un Dio che si interessa della nostra vita, delle "nostre cose": è e sarà sempre il Dio-con-noi di cui ci parla il vangelo di Matteo. 


Ma la figura della lampada ci richiama anche ad un altro passo dei Vangeli, in cui il Signore dice che noi siamo "la luce del mondo; non si accende [infatti] una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa". Noi... siamo, o dovremmo essere, la luce del mondo. L'invito di Cristo che segue è forte ed impegnativo: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli".

Ogni battezzato, e noi frati in special modo, è dunque chiamato ad essere luce per i propri fratelli per aiutarli a raggiungere, con la grazia di Dio, il cielo. È chiamato ad illuminare la stanza, non a renderla buia. È chiamato ad essere fonte di luce in un mondo che sembra amare così tanto il buio così da poter convivere con le proprie piccolezze e meschinità. Un programma esaltante quello proposto da Cristo ai suoi discepoli ed amici. Ma tante volte ci accorgiamo che in realtà noi non siamo luce, non siamo lampada, e che spesso ardiamo sì, ma di rabbia e di delusione. Sentiamo che il nostro olio non è come dice il libro dell'Esodo "olio puro di olive schiacciate", ma è spesso frutto della pigiatura di incomprensioni, sgarri, e fallimenti.

La Chiesa, che è madre e maestra, ci propone questo periodo di Quaresima per poter svuotare le nostre taniche piene di olio malandato e riempirle di un olio puro e profumato che però non ci diamo da soli, ma ci viene donato gratuitamente. È gratis. Il Signore della vita dice infatti: "O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente..."

Solo però chi è amato ama, solo chi sa di essere pensato da una persona a lui cara inizia a voler cambiare per poter rendere l'altro felice. Così dovrebbe essere il nostro rapporto con Dio: un rapporto fondato sul desiderio di rendere l'altro felice, soddisfatto, contento di me, anche a costo di dover cambiare qualcosa di me. Pensiamo ai nostri nonni: sempre fedeli l'uno all'altra, desiderosi di rendere l'altro felice, anche a costo di dover soffrire un poco.

L'inizio della preghiera dei frati studenti all'Arca di Domenico
Nella sua bimillenaria esperienza, la Chiesa indica principalmente tre strumenti per poter iniziare a pulire le nostre lampade. Questi sono il digiuno, la preghiera e l'elemosina, con i quali esprimiamo la nostra conversione in rapporto a noi stessi (il digiuno), in rapporto a Dio (la preghiera) e in rapporto agli altri (le opere di misericordia). Occorre però fare attenzione: la quaresima, non deve essere un periodo di "tristezza forzata" - tentazione questa assai frequente - ma di sereno e schietto riconoscimento di quello che siamo di fronte a Dio. Non dobbiamo essere "esternamente tristi" quando nel cuore non lo siamo, perchè, per usare un'immagine, sarebbe come appiccicare una foglia caduta ad un albero, sperando - ed illudendosi - che sia una foglia vera e vigorosa. Alla prima ventata, però, volerà via. Occorre che invece la foglia della nostra conversione nasca e cresca dall'albero, dalla sua linfa, così da essere più forte e più duratura nel tempo. E la nostra linfa è la grazia che ci viene data da Dio specialmente nei sacramenti. 

"Venite all'acqua, voi che avete sete", perchè io "vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati", "toglierò da voi il cuore di pietra", così duro e freddo, "e vi darò un cuore di carne". Arda dunque come una lampada il nostro cuore davanti al Signore, ed infiammandosi illumini tutti i nostri fratelli lontani e vicini, per i quali Gesù Cristo è morto ed è risorto. Perchè, come scrive Caterina da Siena in una sua lettera, "condizione del fuoco è d'ardare e convertire in sé  (cioè in fuoco) ciò che a lui s'accosta". 

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