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22 aprile 2015

Predicatori di vita

 Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv. 12,1; 9-1)

1 Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània. 9 La gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là (a casa di Lazzaro, Marta e Maria), e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10 I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, 11 perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
 

I versetti che abbiamo letto, introducono e chiudono la narrazione di quella cena durante cui Maria, sorella di Lazzaro, unse con il nardo i piedi del Signore e Giuda iniziò ad essere parte attiva in quei fatti che avrebbero portato al sacrificio vespertino di Cristo.
Come lo stesso brano evangelico specifica, siamo a pochi giorni dalla Pasqua, esattamente il giorno prima dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e i sommi sacerdoti, non vogliono eliminare solo il Signore, non vogliono eliminare solo l'albero, ma anche i suoi frutti. Hanno infatti ben compreso la pericolosità della testimonianza di quell'uomo morto, tornato in vita.
Stranamente però, dopo questi fatti, nel Vangelo non si fa più menzione di Lazzaro, quell'uomo “che tu ami”, così dicono i Giudei a Gesù per annunziarne la morte, scompare. Eppure la sua testimonianza sembrava essere temuta dai Sommi sacerdoti, più di quella degli apostoli. Caifa, essendo sommo sacerdote quell'anno, godeva del carisma profetico, e sapeva di non doversi preoccupare del collegio dei dodici ; infatti,Giuda, prima di togliersi la vita, avrebbe venduto Gesù per delle monete d'argento; Pietro avrebbe rinnegato per poi piangere amaramente quel gesto; gli altri apostoli sarebbero fuggiti e l'unico che sembrava seguire il Signore da vicino è Giovanni, nessuno temeva quello zelo ardente e sconsiderato tipico di un adolescente. I sommi sacerdoti non ebbero paura di nessuno di loro, eppure temettero Lazzaro.

I vangeli sono scarni di notizie su di lui. Il nostro confratello Jacopo da Varagine, nella sua “Leggenda Aurea”, afferma che dopo l'ascensione, terminò la sua vita in Francia, dove si era recato con Marta e Maria e lì divenne il primo vescovo di Marsiglia; secondo le tradizioni Orientali invece, divenne vescovo di Cipro. In entrambi i casi, resta il fatto che i sommi sacerdoti volessero eliminarlo.
Essi erano spaventati dal suo ritorno alla vita: un evento straordinario carico di una eloquenza che gli apostoli avrebbero raggiunto solo dopo la resurrezione di Cristo e, in modo particolare, il giorno di Pentecoste.   

Durante un ritiro quaresimale presso il monastero benedettino di Santa Maria di Rosano nei pressi di Firenze, una bambina, entrando in chiesa e vedendo tutti noi frati in cappa e cappuccio disse con aria stupita alla madre: “siamo circondati dai morti viventi”. Nonostante il rimprovero che ricevette, quella bambina aveva visto bene: la vicenda di Lazzaro riassume l’esperienza dell’umanità intera.
Un cadavere in putrefazione, risanato e riportato in vita dalle lacrime di Gesù, diventa prefigurazione dell'umanità risanata e redenta dal sangue dello stesso Cristo, morta e risorta per la Sua potenza.
 Questo avviene per ogni uomo la prima volta nel Battesimo e poi si ripete più e più volte nel sacramento della Riconciliazione e in tutti quei momenti in cui, come Pietro, dopo aver rinnegato il Signore torna sui propri passi.
Il mondo ha paura resurrezione, teme quel sepolcro vuoto a cui, proprio come i sommi sacredoti, non riesce a dare spiegazione, teme chi può proclamare non solo la resurrezione di Cristo (alla quale può scegliere di non credere), ma anche la propria.

Possiamo scrivere libri, partecipare a conferenze, organizzare eventi, ma la più grande predicazione che possiamo offrire è la testimonianza della nostra vita, l'appartenenza fiera, sincera e coerente a colui che è risuscitato dai morti. Nessuno, sacerdote, religioso o laico è escluso dal portare al mondo questa testimonianza.
Viviamo in un mondo incredulo nel quale perfezione ed impeccabilità non stupiscono, anzi, con malizia si pensa che ci sia molta bravura nel nascondere difetti ed errori, ma davanti alla perseveranza di chi cade e si rialza, di chi muore e risorge si rimane a bocca aperta. Questa è la forza nella debolezza, l’annuncio che il mondo teme, ma di cui ha disperatamente bisogno. Questa è la speranza a cui siamo chiamati, la resurrezione dei morti e la vita eterna. Questi sono i frutti della perseveranza.
Abbiamo il dovere di annunciare la morte di Cristo in croce, abbiamo il dovere di annunciare la redenzione che il creato ha da sempre bramato, abbiamo il dovere di annunciare tutte queste cose, primariamente con la testimonianza della nostra vita e della nostra morte.
Tutta la nostra esistenza si gioca sulla soglia di un sepolcro, siamo proiettati verso l'esterno, eppure  a volte basta un solo passo indietro (fatto al momento sbagliato) e quel sepolcro può chiudersi e sigillarci all'interno, prigionieri del nostro Io come “sepolcri imbiancati”.

Con un passo verso l'altro invece, il sepolcro diventa davvero un pulpito maestoso, da cui annunciare le meraviglie che il signore ha operato per noi.
Nasciamo rivestiti della caducità di Adamo, la grazia ci permette di giungere a rivestirci di Cristo, a noi frati è chiesto di farlo passando per san Domenico, ma nel corso della nostra vita, tuttti avremo sicuramente modo di rivestirci dei panni di molti dei personaggi del vangelo.
 Quanto sarà bello quando un giorno, dopo aver pregato, faticato, lottato e pianto per il Regno di Dio, con magari addosso le bende di Lazzaro, sentiremo la voce di Cristo che ci dice “vieni fuori”  e tornati alla vita guardando faccia a faccia la gloria del risorto, potremo dire con la corte celeste “sia lodato Gesù Cristo”.

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