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19 maggio 2015

La prontezza

La chiesa di Cristo Re a Bolzano
Il luogo comune vuole che non si arrivi mai pronti alla propria professione. Infatti, sotto tanti aspetti, il giorno della mia professione io non ero per niente pronto. Non ero pronto ad accogliere gli amici che stavano arrivando da lontano; non ero pronto a mostrare ai miei confratelli le bellezze della mia terra; non ero pronto con i “santini” e con i tempi della liturgia, un po' troppo complicati per chi vive l'emozione di un momento importante. Soprattutto non ero pronto alla caldissima accoglienza che ho ricevuto da parte di tutta la parrocchia: la chiesa piena, tanta gente che ci ha tenuto a salutarmi, qualcuno si è persino commosso. In moltissimi hanno lavorato perché tutto fosse bello: il coro, il gruppo giovani, i cuochi e le cuoche, i signori Giulini. A ciascuno va il mio più sentito ringraziamento. Al tempo stesso, però, l'appassionata partecipazione alla mia professione solenne mi ha fatto comprendere la grande responsabilità che mi sono assunto.

Promettere ubbidienza fino alla morte non è un fatto privato, che riguarda me e Dio. Non è nemmeno una questione che interessa un ristretto gruppo di frati. Si fa professione pubblicamente, perché tutta la Chiesa, in ogni singolo battezzato, è coinvolta. Il Santo Spirito, che la anima e ne suscita i carismi, ha permesso che io mi assumessi il compito di testimoniare la misericordia di Cristo nel modo proprio dei frati predicatori. E' un compito grande, superiore alle mie forze, eppure tante sono le attese nei miei confronti. Si tratta di vivere con gioia e donare speranza, di avere un orecchio e un cuore attenti e di pregare sulle parole che mi saranno confidate, di essere ricco di fede, pronto a perdonare e a farmi perdonare, di accettare la compagnia del prossimo camminando sulla via del Vangelo. Una sfida da far tremare i polsi!

Siccome mi conosco, so anche deluderò molte aspettative. Allora, con un po' di sfrontatezza e prendendo coraggio dalla bontà dimostratami, chiedo ancora una cosa: che si accompagni nella preghiera me e i miei confratelli, quelli che hanno professato da molti anni e quelli che lo faranno nei prossimi. Chiedo, anche, che si sia buoni nel giudicarci, di sopportare con pazienza i nostri difetti e di correggere con il sorriso ciò in cui possiamo migliorare. 
Ci si prepara alla Messa

Non ero pronto ad un'accoglienza così calorosa, non sono pronto ad essere un frate all'altezza. Aiutatemi a diventarlo con la preghiera, la pazienza e qualche saggio consiglio.

Per fortuna, c'erano anche delle cose che erano prontissime. L'abito nuovo, ad esempio, o l'organizzazione della cerimonia (e infatti non me ne sono occupato io). Io mi sono preoccupato solo di essere sicuro di quello che stavo per fare. La preparazione è durata qualche anno e non è sempre stata facile. All'inizio del percorso, ciò che mi ha spinto tra i frati era più una intuizione che un'idea precisa. Avevo qualche bel ricordo, stima di molti e il sospetto che ci fosse una qualche affinità tra me e la spiritualità domenicana. I primi mesi di formazione sono un bagno di realtà: servono a capire che questo non basta e a demolire illusioni, fantasie, castelli in aria. Confrontandomi con la vita quotidiana di un convento, sono stato costretto a chiedermi se fosse proprio quella la vita che volevo. I difetti e le spiacevolezze saltano presto agli occhi. Poi, più lentamente,  sono emersi in superficie bellezze che non mi aspettavo di trovare. 

Ho trovato una regola che concilia libertà e comunione, responsabilità personale ed obbedienza, annuncio della Parola e ascolto di Dio ovunque si voglia manifestare: nella Scrittura, nel prossimo, nel mondo vasto intorno. Ho trovato anche una tradizione teologica, che apre e stimola l'intelligenza e non la chiude. Ora, sto scoprendo il fascino di pronunciare, nella predicazione, Parole che non mi appartengono. La scoperta della ricchezza e della profondità della spiritualità domenicana sicuramente hanno rafforzato il mio proposito e me ne hanno fatto prendere una più piena consapevolezza. 

Ecco fatto!
Ma il momento in cui mi sono sentito davvero pronto a fare professione è stato quando ho capito che volevo bene ai miei confratelli e che lasciare l'Ordine sarebbe stato tradire un affetto e una fiducia che mi erano stati donati e che io ho imparato a ricambiare. In altre parole, ho intuito che la mia promessa di fedeltà non andava soltanto a un ideale o a una regola, ma a delle persone in carne ed ossa, prima di tutto a coloro che mi sono vicini e con cui condivido il pane e l'abito. 

Sicuramente ci saranno periodi difficili, di crisi e di incertezza: capita a tutti, a un certo punto della vita, di dover mettere in discussione le scelte fatte per il lungo periodo e quelle quotidiane, di chiedersi se ne valeva la pena, se non si è sbagliata la strada, se non ci si è persi qualcosa di imperdibile. Capita a tutti, capiterà anche a me. L'importante sarà fare memoria: memoria del momento in cui ho sentito con chiarezza dentro di me la vocazione religiosa e del momento in cui l'ho assunta e fatta mia in modo definitivo. Ricorderò i miei pensieri di allora, le mie preghiere e quelle di chi mi è stato vicino, ricorderò le vostre parole, la vostra partecipazione, il vostro incoraggiamento. Ecco, allora potrò continuare a camminare, se Dio lo vorrà.


Legarsi fino alla morte è l'espressione più radicale della propria libertà.

G.K. Chesterton

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