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29 maggio 2015

L'epicità della Tradizione

Ascoltando storie epiche mi commuovo facilmente. Proprio per questo amo il teatro ed il cinema. L’epicità è uno dei mille motivi per cui ho aderito e continuo ad aderire alla fede in Cristo e per cui sono entrato nell’ordine dei Predicatori.


La fede in Gesù Cristo, nel suo annuncio essenziale, dice epicità: annuncia cioè l’amore di un Dio talmente grande per l’umanità decaduta e sofferente tanto da morire in croce per redimerla.
Ma l’epicità del cristianesimo è sottolineata da Paolo nel seguente brano della sua prima lettera ai cristiani di Corinto. (1 Corinzi, 11, 23-26)

23 Carissimi, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.

L’epicità si racchiude nella coppia verbale “ho ricevuto – ho trasmesso”. San Paolo parla di un tradere, una Tradizione. Cioè un dato che, oltre i secoli, ininterrottamente viene comunicato e giunge sino a noi: questo dato è l’annuncio essenziale di Cristo.


Anche la liturgia si sofferma sulla Tradizione. Nel canone romano possiamo ascoltare infatti questa frase “E con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli apostoli!”. Quante volte, anche nei momenti più bislacchi e meno opportuni, mi avete sentito recitare questo passaggio del canone romano. È di nuovo il messale a sottolineare l’epicità e l’amore di tutti quelli che si sono prodigati nel custodire e donarci integro quell’annuncio.

E così ripenso con gioia a coloro che nella mia vita hanno custodito e trasmesso il messaggio di Gesù: in primis le mie due nonne. Davvero mi hanno donato un deposito della fede inestimabile.

La Tradizione è la danza trinitaria che volteggia sul mondo. È la forza viva, unitamente alla Sacra Scrittura, con cui la Chiesa rende partecipe tutto il mondo del messaggio di Cristo.
Un messaggio, insegna la lettera a Diogneto, che non è inventato tramite una riflessione filosofica. Quel messaggio è essenzialmente l’Incontro con Gesù Risorto.


Trasmettere, essere parte della Tradizione significa in ultima istanza far incontrare al povero e al bisognoso, materiale come spirituale, il volto di Dio che lo ama e lo custodisce.
Non stravolgiamo il senso della Tradizione: essa non si può né distruggere ideologicamente né altrettanto ideologicamente sventolare come bandiera. Siamo cattolici, figli della Tradizione e figli della Chiesa, servitori di Gesù Cristo.
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Il padre Yves Congar nel 1975 ha scritto “La tradizione (è) tutt’altra cosa che una affermazione meccanica e ripetitiva del passato: essa è la presenza attiva di un principio a tutta la sua storia.”
Siamo noi stessi chiamati ad entrare nella dinamica della Tradizione, proprio perché frati predicatori. Chiamati ad essere presenza viva con la Tradizione.

L’ordine di San Domenico di Guzman è nato dalla sete della verità che gli uomini del 13° secolo anelavano affannosamente; quel medio evo che, desertificato da catari e valdesi, implorava ai nostri confratelli: “Portate l’acqua dissetante della fede cattolica”.
 

Oggi, noi continuiamo a predicare e trasmettere l’integrità della dottrina e a sforzarci di viverla ogni istante, nonostante i nostri peccati e le nostre debolezze.  Così facendo, si attuerà in noi la promessa che il Signore, servendosi del nostro provinciale, ha voluto farci il giorno della nostra professione: Dio che ha cominciato in te la sua opera la porti a compimento.
Diventiamo umili predicatori, carichi di santa Tradizione, e il compimento del capolavoro di Dio si attuerà in noi

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