Chissà che panorama meraviglioso ammirano quella miriade di gabbiani che volteggiano su questa immensa città chiamata Istanbul!
Anche noi tuttavia, pur essendo bipedi implumi come direbbe un evoluzionista incallito, abbiamo potuto contemplare spettacolari scenari e paesaggi. Da Santa Sofia alle diverse moschee che sorgono come funghi in ogni punto della città, dai vicoli caratteristici al bazar, dal coloratissimo giardino del sultano fino all’attraversata sul Bosforo, tra un kebab e l’altro… ci siamo immersi in questo mare magnum, tanto diverso da noi quanto affascinante. Può sorgere spontanea la seguente domanda: ma in questo contesto cosa fanno i nostri confratelli domenicani? Credo che per trovare la giusta risposta sia necessario spostare il fuoco dell’attenzione dall’agire all’essere.
I nostri confratelli forse non fanno tante cose, date anche la difficoltà ambientali, ma si sforzano di essere cristiani. Noi, figli dell’attivismo, della quantificazione e dei risultati ad ogni costo, dobbiamo imparare a riconoscere il primato dell’essere sul fare.
Quando entriamo in una chiesa rimaniamo affascinati da molti elementi: la struttura architettonica, i dipinti e gli affreschi, l’altare ecc.; tuttavia ciò che davvero importa è in realtà l’elemento più piccolo ed insignificante: la piccola candela rossa che arde vicino al Tabernacolo per segnalare la presenza del Signore.
L’insegnamento ricevuto in questi giorni è di capitale importanza: il cristiano deve imparare a portare nel proprio cuore tutti i popoli ed amare l’uomo con lo stesso cuore di Cristo.
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