Di primo acchitto sembra una cosa un po' lugubre, comunque un peso da portare per tutta una vita, ma non è così. L'ubbidienza fino alla morte non è semplicemente un'ubbidienza a lunga conservazione, è molto di più: significa giocare se stessi al 100%, senza riserve. E' un atto che trasforma la qualità della nostra vita e che dà "la vera vita". La vera vita, come spiega suor Mayte, consiste nel lasciarsi possedere dagli altri, lasciare che i nostri fratelli e le nostre sorelle diventino i nostri proprietari: questa è la vita di Cristo.
Non si tratta - dice suor Mayte - di rinunciare supinamente alla libertà, quanto di offrirla attivamente e quotidianamente a Dio. Si tratta di dire sì all'amore del Padre, mettendoci, nudi e senza paura, nelle sue mani. Un'ubbidienza per tutta la vita è un atto quotidiano di assoluta libertà, di assoluta fiducia, di assoluto amore. Le conclusioni che tira suor Mayte sono bellissime: "ubbidire fino alla morte è vivere ubbidientemente risorti, e vivere ubbidientemente risorti è vivere riconcliati con la creazione, l'umanità e con il dato di fatto, pieno di significato, dell'esistenza [...]. Il potere liberante di Dio è più forte del peccato e dell'oppressione, ecco perchè noi obbediamo senza paura, sapendo che nulla può limitare la nostra libertà, visto che è nella mani di Dio. Dio agisce la nostra libertà."
XIII. E non è che si deve obbedire una volta tanto, ma sempre e senza eccezioni. Ma gli scansafatiche e i disubbidienti dicono in cuor loro: "Vediamo che coloro che sono renitenti ad obbedire non hanno impegni nè obblighi onerosi. A questi qua, infatti, viene accordato e risparmiato di tutto, mentre gli altri, che si rendono sempre disponibili, devono continuamente farsi il mazzo." "Chi, infatti, - dicono - potrebbe tenere d'occhio tutto quello che viene ordinato?" Di fatto, se apriamo l'occhio del cuore, possiamo constatare che quelli dovrebbero dispiacersi per ciò che viene loro risparmiato. E questi altri, invece, dovrebbero gioire per quello che non viene loro risparmiato. E allora, i disubbidienti attribuiscano ad una loro colpa, e non alla loro virtù, le fatiche che talvolta riescono a svicolare. Questo succede, piuttosto, perchè non si crei uno strappo peggiore e non si scuota un ramo già spezzato (Is 42). Così Dio non ha ordinato di scrivere l'atto di ripudio, ma lo ha permesso soltanto (Mt 19).
Quindi esultino questi che vengono sovraccaricati di incarichi, perchè, mentre si moltiplicano gli oneri sopra le loro spalle, si moltiplica anche i motivi di merito e, di conseguenza, anche la gioia per le ricompense future. Sono liberati dall'ozio, la pena per i loro peccati diminuisce, le occasioni di tentazione vengono meno.
Sappiate, quindi, che, sebbene tutti gli uomini siano in qualche modo obbligati ad obbedire, i religiosi - in virtù della loro professione - lo sono in modo maggiore. Infatti ai capi famiglia ubbediamo nella buona gestione della casa, ai re quando governano la nazione, ai parroci quando spiegano la Parola di Dio e amministrano i sacramenti; ai superiori degli ordini religiosi ubbidiamo osservando la disciplina; a Dio, il capo dei capi, ubbidiamo fuggendo i vizi e osservando i comandamenti
Voi, quindi, fratelli, che vi siete legati all'obbedienza in modo speciale senza alcuna clausola di eccezione, seguite l'esempio del Salmista che dice: io mi sono incamminato verso tutte le tue leggi (Sal 118,6). E non scordatevi mai che chi offende il Signore anche in un solo precetto, perde tutti i meriti dovuti alle osservanze precedenti (Gc 2).
XIV. La vostra obbedienza sia anche perseverante. Quando fate la vostra professione, vi impegnate ad ubbidire fino alla morte. Siccome è la fine - e non l'inizio - a svelare il valore di un gesto, è chi non lascia l'obbedienza fino alla fine a venire incoronato con la gioia beata ed eterna. Chi vuole che la Verità mantenga le promesse che gli ha fatto, sia lui in primo luogo a mantenere le sue fino alla fine. Chi, infatti, secondo le parole di Cristo (Mt 10.24), persevererà fino alla fine, verrà certissimamente salvato.
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