Oggi si festeggia la traslazione di san Domenico, si ricorda cioè quando il fondatore dei predicatori venne riesumato dalla sua tomba sotto il pavimento della chiesa e, in barba alle sue indicazioni testamentarie, sistemato nella bellissima arca che ancora oggi si può ammirare a Bologna.
Io mi unisco ai festeggiamenti pubblicando un volantino, che, volendo, si potrebbe ripiegare e infilare in tasca o nel portafoglio e dove presento i 9 modi di pregare di san Domenico.
I 9 modi di pregare di Domenico
La prima cosa che colpisce è la corporeità della preghiera del santo da Guzman. Quando Domenico pregava, ripeteva parole della Scrittura, ma, soprattutto, muoveva, piegava, allungava e torceva il suo corpo. Oggi non siamo più abituati a questo stile: la nostra preghiera, la mia in primis, è diventata privata, intimista, nascosta tra le pieghe della corteccia celebrale. Le stesse chiese si adattano male all'espressività devota del corpo, visto che consentono solo tre posizioni: seduto, in piedi, in ginocchio. Se qualcuno oggi pregasse in chiesa come Domenico, verrebbe preso subito per matto.
Forse stranamente, il posto dove il modo di pregare è più vicino a quello di Domenico è la collina borgognona dove dimora la comunità monacale ecumenica di Taizè. Nella loro chiesa non esistono sedie o panche o inginocchiatoi, ma c'è solo una grande moquette. I pellegrini meno elastici possono prendere dei piccoli sgabellini su cui si può stare seduti, ma su cui si è più comodi in ginocchio, e che si possono sistemare ovunque. Per terra, invece, i giovani incrociano le gambe, si sdraiano, si prostrano, contemplano e adorano Dio con il loro corpo. Poi, chi ci è stato lo sa, c'è la preghiera del venerdì sera, quando una croce viene stesa per terra e chi vuole si avvicina appoggiandoci sopra la fronte e pregando (e piangendo) per qualche minuto. Una preghiera così poco discreta! Come faceva Domenico.
I 9 modi di Domenico sono un climax. I primi tre sono atti di umiliazione e richiesta di perdono. Dal quarto al sesto ci si eleva gradualmente, passando dalla mortificazione all'invocazione. Con gli ultimi tre modi Domenico si apprestava a ricevere la grazia di Dio. La preghiera del corpo domenicana è quindi un insieme organico e una piccola scuola di spiritualità. Le tre tappe indicate dal padre dei predicatori andrebbero affrontate tutte e, magari, in ordine.
Degno di nota è anche il fatto che gli ultimi due modi, il culmine - quindi - della preghiera di Domenico, sono due atti tipici della vita domenicana: l'ottavo è lo studio, il nono è il viaggio, l'essenza stessa cioè dell'attività del predicatore e, al tempo stesso, preghiera. Così, la vita si fa preghiera e crolla il muro che separa l'ora dal labora. Anzi, sono convinto che la predicazione sia il decimo modo di pregare, talmente ovvio e implicito alla vita di un predicatore, da non dover nemmeno essere ricordato tra i modi "canonici". Comunque, lo sostengono tutti i libri di spiritualità domenicana che mi sono capitati tra le mani, per ogni frate predicatore la predicazione è preghiera e sbocco e apice della preghiera.
Qualche riga la spendo sul terzo modo, che è forse quello che ci pare più strano, intollerabile addirittura, di quelli che ci fanno pensare al Dio sanguinario e crudele di cui scrivevo qualche mese fa. Si tratta dell'autoflagellazione, caldamente consigliata da Domenico ai suoi confratelli. Penso di poter dire, e chi sa meglio mi corregga, che questo tipo di mortificazione non vada intesa come una punizione necessaria per ottenere il perdono di Dio (che ci è già stato guadagnato da Cristo). Essa è, piuttosto, un mezzo per meglio comprendere e contemplare la sofferenza che Gesù ha sofferto per noi. La coscienza del dolore di Dio - ficcataci in testa da una spranga sulla schiena - è una tappa cruciale nel processo di conversione di ciascuno: questa è "la disciplina che ci indirizza di nuovo verso lo scopo". D'altro canto, il terzo modo esprime plasticamente anche la nostra sofferenza e il nostro dolore per il peccato nostro e per quello del mondo: la schiena sanguina solo quando sanguina anche il cuore.
In ogni caso penso proprio che, per evitare danni molto maggiori dei benefici, questo terzo modo vada somministrato sotto stretto controllo di un direttore spirituale. Nel frattempo, magari anche battersi semplicemente il petto potrebbe bastare...
Da meditare (=ruminare) molto, ma moooolto a lungo!
RispondiEliminaGrazie ^__^
Faccio notare una cosa..
RispondiEliminaDice:"La prima maniera consisteva nell'umiliarsi dinanzi
all'altare, come se Cristo, che nell'altare è significato,
fosse lì presente realmente e personalmente e non
soltanto in simbolo.".
Sicuro che non si riferisce al Tabernacolo (magari posto sopra l'Altare)?
Perché nel Tabernacolo c'è Gesù Realmente Presente con tutto il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità.
penso che l'espressione che hai notato sia dovuto al fatto che al tempo di domenico non c'era il tabernacolo vicino all'altare. tutt'ora in alcune chiese domenicane come bergamo e bologna il Santissimo è riposto nella cappella del rosario e non all'altar maggiore.
RispondiEliminaAh ok! Mi scuso per i toni forse un pochino aggressivi.
RispondiEliminafra Riccardo precisa via mail che ai tempi di san Domenico, il tabernacolo, nel senso attuale del termine e della visibilità, non esisteva, né era ancora sviluppata una teologia e una spiritualità della preghiera “coram sanctissimo”, mentre era abbastanza vivo il senso dell’altare come segno di Cristo.
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