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27 giugno 2010

Cesena

Sembra un dato costante per i tre maggiori Ordini mendicanti presenti a Cesena che il loro insediamento sia stato preceduto da un antefatto, dalla presenza di tre notissimi personaggi della fede: Antonio da Padova, minorita, Pietro da Verona, domenicano e Giovanni Bono, eremita, la cui famiglia religiosa confluirà poi nell’Ordine agostiniano.

Di Pietro Martire, il secondo santo dell’ordine dei Predicatori, grande predicatore, fondatore di confraternite laiche e infine inquisitore, vanno ricordati in questa area alcuni suoi efficaci interventi: tra gennaio e marzo dell’anno 1249 come paciere tra le città di Faenza, Cervia e Rimini e nello stesso anno l’imposizione ai comuni di Faenza e Rimini dell’obbligo di risarcire alla città di Cervia i danni della guerra. Nel periodo 1249-1251, nonostante fosse stato nominato priore prima del convento di Asti e poi in quello di Piacenza, fu presente a Cesena con una certa assiduità. Conoscendo la personalità del frate è possibile che l’iniziativa non fosse stata presa da lui, ma ne fosse stato investito o dal cardinal legato, Ottaviano Ubaldini o da Innocenzo IV stesso, che nell’ottobre 1251 ritornando dalla Francia sostò a Cesena forse per consolidare i progressi del guelfismo romagnolo e per realizzare un probabile progetto politico/religioso, che faceva seguito alla riconquista alla Chiesa della città di Cesena nella primavera 1248 ad opera del legato Ottaviano Ubaldini e dell’arcivescovo di Ravenna Tederico con milizie bolognesi. Non si era combattuto, né c’era stata resistenza alla distruzione della rocca imperiale edificata solo pochi anni prima, ma per il ritorno delle esuli famiglie guelfe dopo otto anni di governo ghibellino la convivenza fra le opposte fazioni andava guidata.



Forse è proprio per questo compito di “ricomposizione” che Pietro da Verona fu così spesso presente a Cesena fra il 1249 e il 1251. Ma la maggior fonte su di lui, il domenicano Pietro Calò che scrive all’inizio del XIV secolo, non ci dice nulla in merito anche se ci fornisce alcune importanti informazioni. “Spesso andava a predicare anche a Cesena, dove aveva così tanto credito che, quando si sapeva del suo arrivo, un’enorme moltitudine gli andava incontro con entusiasmo e prontezza; […] Dopo l’accoglienza popolare veniva condotto alla piazza di quella città, e posto su di un luogo visibile, era indotto a predicare la parola di Dio mentre tutti l’ascoltavano. Dopo di che veniva condotto al suo hospitium, presso la chiesa di S. Giovanni evangelista”. Tolta l’enfasi retorica restano i dati concreti e cioè che era spesso a Cesena per predicare e che il suo alloggio era presso la chiesa di S. Giovanni evangelista, dentro la Murata. La testimonianza per cui Pietro da Verona era ospitato presso un chiesa retta dai canonici della cattedrale è fortemente ambigua: può voler dire che i domenicani non erano ancora presenti a Cesena, oppure che essi, non avendo ancora un luogo proprio erano ospitati presso una canonica, dove Pietro trovava accoglienza.

Non è facile pensare che siano rimasti, se già erano presenti, per circa trent’anni senza un proprio convento; ma non lo possiamo nemmeno escludere perché, ad esempio, a Ferrara vi è un atto di compravendita del 26 marzo 1238 ma la costruzione del convento e della chiesa datano al 1274.

UN INSEDIAMENTO PIANIFICATO: LA MEDIAZIONE DEL CARD. LATINO
Sembra accertato che la fondazione del convento e della chiesa di S. Pietro martire iniziasse verso la fine degli anni Settanta del Duecento e dato che, come dice G. Barone, “i Predicatori non scelgono mai alla leggera il luogo di un loro nuovo insediamento […]” il permesso per Cesena fu accordato alla provincia di Lombardia dal Capitolo generale di Lione del 12747. Nel frattempo i Domenicani si facevano ospitare in luoghi di fortuna presso delle chiese. Inoltre va sottolineato che a Cesena, nel quinquennio del suo episcopato (marzo 1266-dicembre 1270), il vescovo domenicano Everardo avesse sostenuto, o almeno predisposto, un inserimento stabile del proprio Ordine in città.

Quel che resta dell’archivio di S. Pietro Martire non ci è di minimo aiuto se non con il riferirci, mediante regesto scritto nel 1746, che il più antico documento attestava l’acquisto da parte dei Domenicani cesenati di una casa di proprietà di Corbelino di Giovanni e Martino degli Abbati nel 1277. L’Indice, poi, contiene il regesto di due documenti per il 1279 e due per il 1280, in cui si colgono il peso e l’autorità di Latino Malabranca, cardinale legato in Romagna.

Una conferma di questa cronologia dell’insediamento dei Predicatori cesenati, ci viene data nel 1707 dal riordinatore delle carte del convento ed autore del Campione universale, padre Antonino Franceschi da Ravenna: “questo libro si chiama universale perché contiene in se tutte le cose che in qualsivoglia modo e tempo hanno appartenuto o appartengono a questo convento di S. Pietro Martire di Cesena dal principio della sua fondazione, che fu nel 1279 […]”.

È merito di Carlo Dolcini aver ritrovato e pubblicato il testo di due documenti che non solo comprovano l’Indice, ma ricreano il contesto e i modi di quella fondazione. Innanzi tutto il cardinal Latino, domenicano e legato papale in Lombardia, Toscana, Romagna e nella Marca Trevigiana, disponeva di poteri amplissimi, temporali e spirituali, che il papa gli aveva attribuito per consentirgli di raggiungere le molte e non durature pacificazioni fra guelfi e ghibellini in quelle regioni.

Il 17 febbraio 1279 vengono convocati l’arcivescovo di Ravenna, l’arcivescovo di Bari, il canonista Guglielmo Durante, cappellano del papa, rettore della Marca Anconetana, il cappellano papale Pietro Saraceni rettore della Massa Trabaria, i nunzi papali, i domenicani Giovanni da Viterbo e Lorenzo da Todi per confermare la cessione della chiesa di S. Fortunato dai canonici della cattedrale ai Domenicani, e per far accettare alle due parti la costituzione di una “commissione” di due esperti che stimassero il valore delle case e del terreno circostante, di cui i canonici dovevano essere rimborsati. Chi mai, di fronte a tali autorevoli personaggi, avrebbe più avuto da ridire?

Il legato ricorda, in un precedente atto, “di aver dato, dopo averla ricevuta ed assegnata, la chiesa di S. Fortunato con case e terreno adiacente al convento e al locus dei Frati Predicatori di Cesena, trasferendoli a loro pro costruenda ipso rum ecclesia et officinis eorum. Mentre i possedimenti, gli affitti, i diritti e gli altri beni mobili e immobili spettanti alla stessa chiesa di S. Fortunato, e la parrocchia, la sua cura, e tutti i diritti parrocchiali – eccetto la chiesa di S. Fortunato, le case e il terreno circostante – di averli concessi al Capitolo della Chiesa di Cesena in piena e libera pertinenza”. Quando i Domenicani ottennero la chiesa di S. Fortunato e le case circostanti, il loro convento era già esistente ma probabilmente in uno spazio troppo angusto. Infatti le nuove acquisizioni dovevano servire alla costruzione o all’ampliamento della loro nuova chiesa e agli ambienti necessari al convento.

Vi è anche il testo di una donazione del 1279, fatta dal comune di Cesena ai frati Predicatori, di una via pubblica che corre “fra la chiesa nuova di S. Fortunato e la casa di un certo Giovanni de Nosoledis, e che si protende fino alla strada che conduce alla posterla dei mulini e del Renaccio”. La via era stata consegnata al priore ed era stata chiusa da entrambe le parti e con essa era stato donato il materiale di cui era lastricata.

Come si è visto l’insediamento dei Domenicani a Cesena fu agevolato per quanto possibile, e non trovò seri ostacoli giurisdizionali da parte del clero. Se il cantiere della chiesa e del convento di S. Pietro Martire si aprì presumibilmente nel 1280, o poco prima, dieci anni dopo, il 10 marzo 1290, mancavano i soldi, non si sa se per continuare o per concludere i lavori; l’arcivescovo di Ravenna, il domenicano Bonifacio Fieschi, esortava i fedeli alla generosità finalizzata alla costruzione del complesso domenicano, conferendo in cambio, quaranta giorni di indulgenza.

[Andrea]

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