Il cenone di Natale diviene un momento in cui si rincontrano parenti visti sporadicamente durante il resto dell’anno. A proposito delle tradizioni culinarie natalizie G. K. Chesterton ha saputo delineare una teologia del cenone natalizio. Nell’articolo del 1906 intitolato il Tacchino scrive: ‹‹ Quello che so sicuramente è che la confraternita d’arme e sofferenza a cui appartengo e a cui devo tutto, il genere umano, vivrebbe tempi di gran lunga peggiori se non ci fosse una cosa come il natale o i pranzi Natalizi. […] Se [Ebeniz] Scrooge sia diventato migliore per aver donato il tacchino e Cratchit più felice per averlo ricevuto sono due fatti di cui sono sicuro proprio come quello di avere due piedi […] ›› Chesterton con maestria usa i due personaggi di Canto di Natale di Dickens per mostrare che il bene di un’ anima può venire dall’atto dell’offrire un tacchino ad un’altra anima.
Credo infine che Chesterton abbia anche reso un ulteriore particolare di questa unità nella diversità. Scrooge è infatti l’immagine di chi si pone al servizio della carità nell’altro. Cratchit è colui che riceve la carità. Entrambi mostrano la necessità di relazionarsi l’un l’altro. Il frutto di questa relazione tramite la carità è la salvezza dell’anima e del corpo di entrambi. Dunque, a ben vedere ha ragione Chesterton: non possiamo fare a meno del pranzo di Natale e anche del cenone della vigilia. Vivremmo tempi molto peggiori. Molto peggiori della crisi economica attuale.
Gesù dolce, Gesù amore
Fr. Gabriele Giordano M. Scardocci
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