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5 dicembre 2014

Sinfonia del deserto n. 1

“[…] et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te” (Confessiones I, 1). Agostino era un furbo! Aveva capito tutto… ed espresse con vibranti e luminose parole il particolare status dell’umano, uno stadio per cui, lo spirito dell’uomo - stanco della quotidianità, delle sue consuetudini e vicissitudini – posto davanti alla miseria del mondo ed al contempo alle sue bieche e subdole azioni, si ribella ed insorge contro se stesso e contro il mondo. Questo è l’uomo che può distintamente sentir vibrare “[…] quello spirito guerrier ch’entro mi rugge” (Cfr. Foscolo, Alla sera). Solamente l’uomo che ritorna in se stesso, può interrogarsi attorno a ciò che ha veramente valore e senso. 


Può accadere che il vento del dubbio possa gonfiare le vele dell’umana esistenza. Si è pronti a salpare, meglio, a “fuggire”: il dubbio è preambolo della fuga.

Fuggire da cosa? Fuggire da chi? 

Si fugge da ciò che si pensava possedere, dalle sicurezze e dalle certezze, da ciò che ci si illudeva conoscere e perché no, da ciò che si credeva essere la propria realtà: si fugge da una prospettiva “individuo-centrica”. 

Il buon Cassiano – promulgatore della spiritualità del deserto – ci fa dono delle rare perle che adornarono la cristianità dei primi secoli; nelle “Collationes patrum in Scithico eremo commorantium”, riporta i discorsi, gli insegnamenti, l’esempio di quegli uomini che, abbandonata la città, fuggirono dal mondo, dal loro reale attuando così la celebre “fuga mundi”. È vero, facebook non era stato ancora ideato, sicché quegli illuminati dovettero accontentarsi del deserto, oggi invece abbiamo uno strumento migliore, una prigione informatica. L’uomo contemporaneo può scaricare i propri dubbi, le proprie inquietudini rinchiudendosi in una pseudo-realtà e fuggendo dal mondo reale, acconsentendo al subdolo inganno del morboso e nefando spirito che tiranneggia al giorno d’oggi.

Torniamo alla fuga … che grande termine! È anche il nome di una altrettanto grande composizione musicale del periodo Barocco. Non pensiamo che il termine sia stato assunto per indicare la velocità d’esecuzione; similmente, colui che si allontanava dalla città, non doveva letteralmente correre verso posti isolati – a meno che la fuga non fosse determinata dalla magagna consumata e che, con ragione, obbligava l’uomo ad allontanarsi – immagino già la scena. Come scrive il padre Barzaghi, “la fuga è propria degli spiriti alti e nobili” (La fuga, ESD Bologna), di coloro che “non indugiano sulla via degli stolti e peccatori” (cfr. Sal I,1) ed è questo, de facto, il modello di chi vuol perseguire una via alta, sublime, nobile, un sentiero battuto dai giganti dello spirito umano. Sotto questo punto di vista, la fuga assume un diverso valore, in alcun modo negativo.



Azzardando così una analogia “sinfonica”, la prospettiva di chi fugge è segnata da un “tema fondamentale”, un centro che si impone in questi termini: “[…] edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù […]” (Ef 2, 20). La nostra fuga, in altri termini, ha come tema primigenio ed archetipico Cristo Gesù che è il centro, il perno che regge tutta la composizione oltre a strutturarla in ogni sua minima parte, in ogni suo accordo e nota. L’incisività del tema è qualcosa di estremamente importante, è radicale: chi percorre questa via non ha altro orizzonte che Lui solo; ogni musicista attende con trepidazione e quasi tremore che il direttore agiti la sua bacchetta dando cenno d’inizio alla sinfonia. Tutti sono immobili, silenti, nessuno smuove lo sguardo da quel “legno” che reca nella mano il maestro, tutti sono in posizione di partenza, tutti sono pronti, tutti trattengono il respiro.

A questo punto, mi sembra che la questione sia chiara: gli esempi musicali sono metafore della metanoia, dell’orientamento dello spirito umano verso il capo. Colui che fugge, ha operato questo “capo-volgimento”, si è orientato, si è volto verso e dalla parte del capo, del Figlio, il Cristo Crocifisso, “l’agnello immolato fin dalla fondazione del mondo” (Ap 7, 13). È dunque il Figlio che dirige la creazione con il legno della croce, strumento con cui segna il tempo e l’andamento del cosmo, è Lui del quale si dice: «Chi è dunque costui che dà ordini ai venti e all'acqua e gli obbediscono?» (Lc 8, 25). La stessa sinfonia, con i suoi movimenti, canoni e fughe, nel suo incedere solenne e maestoso, brioso e brillante, fa librare l’orchestra verso quell’armonia divina, sublime, verso il suono eterno. Dove si ode il suono eterno se non nella communio sanctorum? Dove la comunanza e vicinanza di santi e data proprio dalla presenza del Santo. Tutti siamo chiamati a prendere parte a questa sinfonia, ognuno con una vocazione diversa, con un talento diverso: ci sono i violini, violoncelli, contrabbassi, trombe, corni, fagotti, flauti, ottavini etc…, ma tutti parte di quell’organico, tutti parte di quella armonia che ha nel crocifisso il fondamento immutabile ed esplicazione eccelsa e suprema. Resi perciò santi nel Santo e per il Santo, essendo la voce del Santo il suono eterno e dell’Eterno, non si potrà più dire “cor nostrum inquietum est..”.
Fra Pietro Maraglino o.p.

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