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2 marzo 2015

La lotta interiore: le tappe dell’orazione

Il Concilio Vaticano II ha ricordato a tutti i membri della Chiesa la chiamata universale alla santità (Lumen gentium 41). Ad ogni cristiano, qualunque sia il suo stato, è richiesto un serio impegno per scalare le vette più alte della santità, dando così testimonianza al mondo del Cristo Signore. La via maestra per giungere all’unione con Dio e conseguentemente alla santità è il cammino dell’orazione. La santità infatti cresce proporzionalmente alla crescita nell’orazione. Attraverso la preghiera tutte le facoltà vengono purificate ed elevate ad un piano superiore, ed essa contribuirà ad una magnifica fioritura dell’umano. Vediamo brevemente le tappe di questo sublime e faticoso cammino.

L’orazione vocale

San Tommaso insegna che l’orazione vocale deve essere fatta con attenzione e profonda pietà. L’attenzione può essere: materiale, se si cerca di pronunciare correttamente le parole; letterale, se si bada al loro senso; spirituale o mistica, la più eccellente, se si tiene in considerazione il fine della preghiera ossia Dio. L’attenzione attuale è la migliore, tuttavia è almeno indispensabile quella virtuale, posta all’inizio e influente sulla preghiera stessa nonostante le distrazioni involontarie. Se la distrazione è volontaria produce un peccato di irriverenza che impedisce il frutto dell’orazione (Somma Teologica, II-II, q. 83, a. 13).

Se l’attenzione coinvolge la facoltà intellettiva, la pietà chiama in causa la volontà. Una pietà profonda implica un ampio reticolato di virtù: carità, fede, fiducia, umiltà, devozione, riverenza e perseveranza (Somma Teologica, II-II, q. 83, a. 14). 

La nostra orazione vocale dovrà dunque strutturarsi sopra questi due qualità (attenzione e pietà) anche a costo di diminuire il numero delle preghiere, se risulterà necessario. 

La purificazione della mente: la meditazione

Per prima cosa il credente deve essere in grado di penetrare il mistero di Dio attraverso la riflessione intellettuale. La fede cristiana si rivolge a tutta la persona umana, dunque anche alla sua ragione. Il fatto che il contenuto della fede possa essere oggetto di speculazione intellettuale rappresenta il vero punto di forza del cristianesimo ed un mezzo efficacissimo per la sua trasmissione. Tra le varie forme di preghiera, la meditazione rappresenta il miglior metodo di applicazione della mente alle verità soprannaturali. Essa infatti permette all’orante di raggiungere convinzioni stabili e profonde che costituiranno una solida struttura interiore capace di resistere ai venti contrari della tentazione e delle correnti di pensiero erronee. Una volta che l’intelletto avrà metabolizzato una verità, la volontà si sentirà spronata ad amare e a praticare ciò che la mente le avrà indicato come vero. Sarà proficuo dunque soffermarsi spesso sui misteri della vita di Cristo, sui comandamenti ed i peccati capitali, considerare ad una ad una le parole di una determinata orazione ecc.

La purificazione del cuore: l’orazione affettiva

Se le verità di fede sono penetrate nell’intimo dell’anima sgorgheranno naturalmente degli affetti. L’uomo infatti necessita non solo di comprendere il bene ma di amarlo attraverso movimenti emotivi e della volontà. Attraverso questa tipologia di orazione, conseguenza della meditazione, il credente amerà profondamente ciò in cui crede rimodellando così la sua vita. Tuttavia occorre evidenziare il pericolo di ricercare nella preghiera le consolazioni di Dio piuttosto che il Dio delle consolazioni. L’incontro con il Signore rimane l’unico vero obiettivo e motore dell’orazione. Sarà così utile esaminarsi di frequenza alla luce della norma suprema del discernimento degli spiriti dataci da Cristo stesso: esaminare i frutti (Mt 7,16). Se i frutti della nostra preghiera consisteranno in un aumento dell’amore verso Dio e verso i fratelli, e in una spinta energica per praticare le virtù potremo gioiosamente dedurre che la nostra vita interiore va progredendo. Se invece, pur beneficiando di sensazioni piacevoli, non osserveremo cambiamenti veri e duraturi nella nostra esistenza, dovremo rivedere radicalmente il nostro approccio all’orazione. Cristo non ci ha promesso in questa vita carezze o cammini facili, ma ci invita a stringere nelle nostre mani la rosa dell’amore, fiore sublime ma disseminato di spine.

La contemplazione

Quando l’orante avrà purificato le sue facoltà, sarà pronto per essere introdotto nel mondo della contemplazione. A questo punto incomincerà il cammino della mistica. Se in precedenza molto dipendeva dalla dedizione umana ora è necessario attendere pazientemente i momenti di Dio e ricevere con amore ciò che la sua generosità vorrà concedere. Tutti i cristiani sono chiamati a questa intimità con Dio, tuttavia sono pochissimi quelli che vi giungono. Perché? Innanzitutto il credente, specialmente quello contemporaneo, è profondamente impaziente. Non è in grado di aspettare, di stringere i denti portando a termine giorno per giorno il proprio dovere, pur non scorgendo risultati. In un ultima analisi ciò che manca davvero è l’umiltà, poiché non si riconosce la radicale dipendenza da Dio ed il suo primato su tutte le cose. Gesù in persona disse a Santa Caterina da Siena: “Tu sei quella che non è; Io invece, Colui che sono”. Occorrerebbe meditare spesso su queste parole che il Divino Maestro diede alla Santa senese poiché dipingono in modo esemplare la nostra condizione creaturale. Tutto dobbiamo al Signore e a Lui tutto dobbiamo chiedere. Per questo motivo il cammino di contemplazione altro non sarà che un’esplicitazione spirituale di questa verità.

E’ possibile pregare sempre?

Le tecniche di preghiera che si fondano sulla ripetizione di una parola o un’espressione mirano in definitiva ad instaurare una condizione di continua adorazione e coscienza della Presenza di Dio in noi. Ma è possibile pregare sempre? Dobbiamo renderci conto che non è necessario trovarsi sempre nell'atto di preghiera per vivere continuamente nello stato di preghiera. Ogni azione fatta per rendere omaggio a Dio, riconoscendo la sua sovranità, costituirà un ottimo mezzo per rimanere a Lui uniti. Ciò che conta dunque è l’intenzione che poniamo in ogni nostra azione. Sant'Ignazio di Loyola propone il seguente ideale: “Ut in omnibus quaerant Deum” (che in tutte le cose cerchino Dio e Dio solo). Tale proposito non è di semplice realizzazione poiché le nostre intenzioni sono spesso mescolate con motivi umani più o meno buoni. Vanità, amor proprio, orgoglio ecc. possono fungere da veleno che guasta tutta la nostra pietanza spirituale che vogliamo offrire a Dio. I santi non si comportavano certo così, ma facevano bene quello che dovevano fare, nozione più elementare e nello stesso tempo più profonda di santità. Alcuni di essi hanno potuto compiere grandi imprese, ma non sono state queste che li hanno resi santi; anzi, hanno meritato di poterle compiere proprio perché sono rimasti abitualmente fedeli nelle piccole cose. 

Un altro mezzo di grande utilità per rimanere uniti a Dio consiste nell’agire in ogni circostanza come agirebbe Nostro Signore se si trovasse al nostro posto. In tal modo riusciremo a mantenere saldo il delicato equilibrio fra azione e contemplazione e divenire uomini con il cuore posto in Cielo ma con i piedi ben piantati per terra.

Dio è uno solo. Ma esistono tanti modi per incontrarlo e fare esperienza del suo amore. Ognuno è chiamato a trovare il suo modo personale di relazionarsi con il Signore. Ciò che conta davvero sarà in definitiva l’amore che avremo per Dio. Continuiamo coraggiosamente questa battaglia dello spirito aiutandoci con questo saggio consiglio di San Giovanni della Croce:” Non ti mostrare alle creature, se nella tua anima desideri conservare chiara e semplice la faccia di Dio. Piuttosto vuota e distacca del tutto il tuo spirito da quelle e camminerai sotto la divina luce, poiché Dio non è simile ad esse”.

Fra Daniele Benedetto Maria Cassani o.p.



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