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3 aprile 2015

Croce della nostra salvezza

Durante l’intera giornata del Venerdì santo, la Chiesa, sposa fedele di Cristo si raccoglie nella contemplazione della Passione salvifica del suo Signore alla quale si associa mediante la preghiera più intensa e l’osservanza del digiuno e dell’astinenza dalle carni.

Fin dal IV secolo, culmine di questo giorno è la solenne azione liturgica “in Passione Domini”, che, suddivisa in tre parti, per antichissima tradizione non prevede la celebrazione dell’Eucarestia, ma si presenta come un grande atto di adorazione del Sacrificio del Figlio di Dio nel quale, come sottolinea l’orazione conclusiva, i fedeli sostenuti dalla speranza di risorgere con lui, supplicano che su tutti “venga il perdono e la consolazione, si accresca la fede, si rafforzi la certezza nella redenzione eterna”. La liturgia della Parola, primo grande momento della celebrazione, culmina nella solenne proclamazione della Passione del Signore secondo san Giovanni. Essa è preceduta da un lungo passo del libro del profeta Isaia in cui è presentata la figura del servo di Dio “trafitto per le nostre colpe” dalle cui piaghe siamo stati guariti ottenendo misericordia e libertà e da un brano della Lettera agli Ebrei in cui Cristo è onorato quale sommo sacerdote che ottiene la salvezza eterna per quanti gli obbediscono. Il passo della seconda lettura contiene inoltre un invito caloroso: “accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia così da essere aiutati al momento opportuno”.

La liturgia risponde prontamente a questa esortazione, quando, dopo l’omelia, eleva con singolare solennità la preghiera universale.  Consapevole che sulla Croce il Signore Gesù ha dato la vita per tutti, nessuno escluso, la Chiesa, formulando alcune invocazioni, intercede per ogni uomo, specialmente per coloro che ancora non hanno conosciuto Cristo o si rifiutano ostinatamente di credere in lui.

Al termine delle preghiere universali, ha inizio il momento centrale dell’azione liturgica: un sacerdote o un diacono portano all’altare un’immagine della Croce e, togliendo gradualmente il velo che la copre invitano i fedeli all’adorazione. Mentre ciascuno dei presenti si avvicina al Crocifisso per un personale atto di venerazione è tradizione cantare l’antichissimo inno dei lamenti del Signore, probabilmente di origine greca, che esprime in maniera mirabile il sentimento di angoscia di Gesù durante il suo sacrificio: “Popolo mio che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta!” Innanzi al dolore innocente di Gesù, causato dal peccato di ogni uomo è umanamente impossibile non provare un profondo senso di dolore e di contrizione. Tuttavia, come sottolinea il cardinale Giacomo Biffi, è importante ricordare come la morte e la sofferenza del Figlio di Dio non sono state solo un crimine della malvagità umana, ma anche una immolazione rituale dalla quale noi tutti siamo stati salvati. Con questa certezza, la prostrazione innanzi al legno su cui venne appeso il Signore non può essere vista come un atto di crudele masochismo, ma come un gesto di amore, di gratitudine che culmina nella Comunione eucaristica, terzo ed ultimo momento dell’azione liturgica.

L’adorazione della croce diviene inoltre umile ed esultante professione di fede nella consapevolezza che la morte non è la conclusione della vicenda di Gesù, ma che egli, come ricorda ancora l’arcivescovo emerito di Bologna, dopo di essa è stato glorificato dal Padre poiché ha conquistato una vita nuova e più splendida; è entrato pienamente e definitivamente nel regno di Dio come primizia dell’umanità riscattata: e accanto al padre è il Signore dell’universo e della storia.

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