Pagine

2 aprile 2015

Pasqua nuova ed eterna

Il fondamento della fede della Chiesa, che da duemila anni essa proclama con qualunque mezzo in ogni angolo della terra, è l’infinito amore di Dio per l’uomo, sua creatura. Amandolo in modo incondizionato, non lo abbandona nella sua caduta ribelle, ma assumendo la condizione di servo, gli offre la salvezza. La santità di Dio, come ricordava il Papa Benedetto XVI, non è solo un potere incandescente, davanti al quale noi dobbiamo ritirarci atterriti; è potere d’amore e per questo è potere purificante e risanante.

L’opera dell’umana redenzione è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale, con il quale, morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo, ci ha ridonato la vita. La santa Chiesa contempla ogni anno questo grande mistero celebrando il Triduo della Passione e Resurrezione del Signore, che risplende come vertice dell’intero anno liturgico.

Tali giorni di grazia si aprono con le celebrazione vespertina del Giovedì Santo, conosciuta come Messa “in Coena Domini”. Essa infatti rievoca la santa Cena che il Signore desiderò ardentemente magiare con i suoi discepoli prima di consegnarsi alla morte , durante la quale, con l’istituzione dell’Eucarestia, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue.
In questa occasione, l’azione liturgica si svolge in un clima particolarmente solenne e festoso, atto a mettere in risalto il carattere pasquale della Cena del Signore. La prima lettura della Liturgia della Parola, tratta dal libro dell’Esodo, descrive la celebrazione della Pasqua in Israele, così come era stata definita dalla legge mosaica. La memoria della liberazione dalla schiavitù in Egitto diventava, per il popolo ebraico, una festa di ringraziamento e di speranza, al cui centro era posta, come segno della liberazione operata da Dio, la figura dell’agnello, che per la Chiesa diventa evidentemente immagine allegorica di Cristo.

Celebrando questa festa con i suoi discepoli, il Signore Gesù, Agnello di Dio, ha inaugurato la nuova Pasqua in cui la commemorazione dell’agire salvifico di Dio diviene memoria della sua croce e della sua resurrezione, mentre l’azione di grazie del popolo ebraico ha lasciato il posto alla nostra celebrazione eucaristica, nella quale ogni giorno il Signore benedice i nostri poveri doni del pane e del vino per offrire in essi se stesso.

Uno degli elementi distintivi della celebrazione vespertina del Giovedì santo è evidentemente il rito detto della “lavanda dei piedi”, consigliato normalmente al termine dell’omelia. Non si tratta di una semplice commemorazione. Attraverso questo semplice gesto ci impegniamo a seguire l’esempio del Signore lavandoci i piedi gli uni gli altri nell’osservanza del precetto della carità, ma prima di tutto vogliamo contemplare l’umiltà del Signore che ancora una volta, inginocchiato come uno schiavo ai nostri piedi ci rende il servizio della purificazione, ci fa capaci di Dio e ci rende degni di accedere alla sua mensa.

Secondo il racconto dei Vangeli, dopo la cena, Gesù andò a pregare nel Getsemani dove fu poi arrestato. Memore di questo, la liturgia del Giovedì santo non termina con il consueto congedo.

Pronunciata la preghiera “dopo la comunione”, ha inizio una solenne processione che accompagna il Santissimo sacramento al luogo della sua reposizione dove i fedeli potranno soffermarsi in adorazione ed essere rinnovati nell’umiltà del Signore attingendo pienezza di carità e vita.

Nessun commento:

Posta un commento