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11 maggio 2015

Domenicani coraggiosi

Al Maresciallo

In un articolo, scritto nel 1959 e ripubblicato da Dominicus 55 anni più tardi, fra Egidio Odetto accostava, in modo impertinente e con un filo di ingenuità, p. Giuseppe Girotti op, il beato che morì in un lager per aver cercato di salvare alcuni ebrei torinesi dalla persecuzione nazifascista, a p. Reginaldo Giuliani op, cappellano degli Arditi  ed eroe del fascismo che morì in Etiopia durante la battaglia di Passo Uarieu. Scriveva Odetto:  
Il sacrificio spirituale [di Girotti] costituisce una porzione eminente del tesoro spirituale della Provincia di S. Pietro Martire; certo, quanto di più luminoso di sia verificato nella sua dura vicenda, dai giorni della fine gloriosa del P. Reginaldo Giuliani.
Studiare esegesi fa crescere nel coraggio
A volte mi sono chiesto come sia venuto in mente al padre Egidio di infilare in una medesima frase due figure così agli antipodi: una che si è cristificata nella lunga Via Crucis che porta da Torino a Dachau; l'altra che ha tragicamente confuso patria e Chiesa, Cristo e duce. A pensarci bene, però, oltre allo stesso abito e alla stessa professione, un tratto comune c'è. Erano caratteri intrepidi, cuori forti, impavidi nel rischiare la vita, uomini d'avventura. A pensarci ancora meglio, questo elemento caratteriale è tipico del carisma domenicano. Nel refettorio di Bologna si raccontano ancora le avventure sopra Fiume del futuro padre Acerbi o il turbolento periodo della seconda guerra mondiale, quando i frati bolognesi nascosero quasi contemporaneamente fuggitivi ebrei, partigiani e perfino il podestà. Uscendo dai confini della nostra provincia, si potrebbe anche ricordare la vita del p. Jaussen, un po' santo, un po' spia, un po' frate, un po' beduino e che poco ha da invidiare a Lawrence d'Arabia. Andando indietro nel tempo, ecco Riccoldo da Montecroce, il domenicano fiorentino del 1200 che attraversò la Palestina, l'Armenia, la Turchia, la Persia e raggiunse infine Baghdad; Samuele Mazzucchelli, che condivise la vita degli indiani d'America o il più celebre Antonio Neyrot, che a lungo indeciso tra cristianesimo e islam, alla fine optò per il martirio in nome di Cristo. 

La lista sarebbe lunghissima e continua fino ad oggi, alla comunità dei frati che resiste fra gli spari a Bangui e al padre Najeeb, che sta salvando – uno a uno – gli antichi manoscritti di Mosul. Domenico stesso fu un uomo temerario. L'ambasciata in Dacia al seguito del vescovo Diego, la predicazione in Linguadoca, i viaggi per impiantare l'Ordine dei Predicatori furono tutte grandi avventure. L'episodio più indicativo dello spirito di Domenico, virile, irriverente e noir, è narrato da Giordano:
Passando per un luogo nel quale sospettava che gli fosse stata posta un'imboscata, continuò ad avanzare speditamente, cantando. Quando la cosa fu riferita agli eretici, questi meravigliati di così incrollabile costanza, gli chiesero: “Non hai paura della morte? Cosa avresti fatto se ti avremmo preso?” Ed egli: “Vi avrei pregato di non uccidermi subito con ferite mortale, ma di prolungare il mio martirio mutilando progressivamente le mie membra. Poi vi avrei pregato di mettermi davanti agli occhi le parti amputate e di strapparmi anche gli occhi e infine di lasciare il resto del mio tronco immerso nel sangue o di finirmi del tutto, affinché in tal modo, col protrarsi del supplizio, io potessi meritare una corona maggiore”.
Domenico era un uomo coraggioso e timorato. Coraggio e timore, infatti, sono per i frati domenicani come il bianco e il nero: non si mischiano mai nel grigio stinto degli ignavi, ma nel contrasto si illuminano l'uno all'altro in tutta la loro squillante vividezza. Così il domenicano coraggioso. Non ha la paura che esce dall'amor proprio, che impedisce e avvilisce il cuore, che non lascia vivere e che ci rende come bestie, ma ha una terribile paura di ferire l'amore di Cristo. Più è forte, radicato, pervasivo il timore di Dio, più il domenicano è impavido verso ogni altro pericolo. Con questo santo timore nel cuore, sceglie la morte piuttosto che offendere Dio o il suo prossimo e cammina spavaldo sopra aspidi e vipere, schiaccia noncurante leoni e draghi. 

Anche la Messa è una grande avventura...
L'avventura è celebrata persino nella festa dell'Epifania, cara ai frati predicatori in ragione di quella stella che risplende in cielo e sulla fronte di Domenico. Per seguirla bisogna avere del fegato. I santi Magi  partirono nel tempo peggiore dell'anno per un viaggio lungo come quello: le strade affondante e la stagione rigida, nel cuore fitto dell'inverno. Ci furono momenti in cui rimpiansero i palazzi estivi, le terrazze e le fanciulle di seta che portano i sorbetti. I falò notturni che si spegnevano, l'assenza di ripari, le città inospitali e le cittadine ostili: sono stati momenti durissimi per loro. Alla fine preferirono viaggiare intere nottate, dormendo a tratti e con le voci che cantavano loro nelle orecchie che era tutta una pazzia. 

Proprio il sei gennaio ho emesso i miei voti solenni. Come per i Magi, così anche per me un lungo viaggio è finito, quello del discernimento vocazionale. Ora ne inizia un altro, un'avventura nuova. So che devo seguire una stella, non so dove mi condurrà. So che dovrò affrontare dei pericoli e che dovrò essere un domenicano coraggioso. Con la  professione mi è stato confermato un compito. Messo a totale disposizione della Chiesa universale, avrò la missione di predicare l'universale riconciliazione in Gesù Cristo ovunque e in tutte le sue forme, con la parola e con l'esempio.

Robe da matti
Dio mi ha benedetto con le tre cose che si addicono ad un uomo: la penna, la spada e la cortesia. Con la penna intendo ricopiare fedelmente le parole del Vangelo per inviarle a chi meno se lo aspetta. La spada tra le dita, 165 grani neri che pendono dalla mia cintura, serve a pregare. La cortesia è il primo passo dell'amore. Non ho bisogno di molto altro per la mia missione.

Nello zaino porto alcuni tesori: l'entusiasmo e l'energia che convengono all'età, la speranza, una comunità variopinta e vivace, e soprattutto la Scrittura. Dovrò stare attento a non lasciarmeli rubare. Se cadrò tra le spine e i rovi dei campi, permetterò alla gioia di sbocciare, come fece Maddalena. Non avrò fretta e camminerò piano, per non stancarmi e per non lasciare indietro i miei compagni di viaggio. Non inseguirò le mie fantasie, ma resterò fedele alla realtà. Dal momento che il tutto vale più della parte, non mi distrarranno le brutture della strada, ma terrò lo sguardo fisso sulla bellezza che mi circonda. Mi batterò, quando sarà necessario, e poi farò la pace. In ogni cosa benedirò il Signore.

La via della sequela non fa paura, se si guarda alla croce che ha vinto il mondo.

To a well-organised mind, death is but the next great adventure
JK Rowling

Bibliografia: 
Caterina, Lettere
Chesterton, Ortodossia
Eliot,  Il viaggio dei magi
papa Francesco, Evangelii Gaudium
Giordano, Libellus
Kipling, Capitani Coraggiosi
Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale
Smart, Jubilate Agno

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