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31 agosto 2015

La Nicchia delle Luci

Racchiuso nel nobile Corano, incastonato nel cuore della sura an-Nur, la sura della Luce, brilla misterioso un versetto che recita:
Allah è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente.
Molti hanno tentato di carpirne il senso, ma l'esegeta più profondo è stato Abu al‑Hamid al‑Ghazali. Teologo e mistico, nasce a Tus, città di mercanti nella Persia nord-orientale, nell'anno 450 dell'Egira (1058-59 d.C.). Giovane di acuta intelligenza, studiò prima  sulle rive del mar Caspio, e poi tra i monti del Korazan, mettendosi alla scuola del celebre imam al‑Haramain. Alla morte del maestro, fu chiamato alla corte del ministro Nizam al-Mulk e nel 1091 d.C. cominciò a insegnare diritto a Baghdad, dove ottenne la sua consacrazione accademica e scrisse la sua celebre confutazione dei filosofi. Nel 1095 d.C entrò in un periodo di crisi spirituale, che lo portò a ritirarsi a Damasco e a dedicarsi alla pratica di un austero sufismo. Durante questo periodo di transizione, al‑Gazali seppe integrare alla sua cristallina razionalità e alla sua fedeltà alla legge divina, anche una profonda pratica mistica. Morì nel 1111, anno del Signore, nell'anno 505 dalla migrazione del Profeta dalla Mecca a Medina.

La luce, scrisse al‑Ghazali, in una tarda lettera a un discepolo, intitolata La Nicchia delle Luci, “è ciò che è visibile di per sé e rende visibili le altre cose, come il sole”. E' luce il fuoco che crepita nella notte; luce sono la luna e le stelle; è luce il sole dall'alba fino al suo tramonto. E' luce l'occhio, senza il quale ogni fiamma è oscura. Ancora più luce è l'anima umana, che oltrepassa i muri e attraversa le distanze in un istante, che vede l'altro e se stessa". L'anima è luce davvero perché sa cogliere l'essenza delle cose, che rimangono celate ai cinque sensi. Quando Dio le dona lo spirito di profezia, l'anima sfolgora e carpisce anche i misteri reconditi della creazione. La luce che illumina l'anima è la sapienza massima, la parola divina, il Sacro Corano. E' allora che l'intelletto conosce davvero e si avvicina a ciò che ci fa uomini. Ma “la luce vera è Dio eccelso; il termine luce dato a cosa diversa da Lui è pura metafora che non risponde affatto a realtà”. Grazie a Dio, infatti, le cose passano dall'oscurità più buia e impenetrabile del non‑essere, alla chiarezza cristallina e splendente dell'essere. Dio crea e fa essere e risplende nelle sue creature. Dio è luce abbagliante, perché non c'è nulla di ciò che esiste, che non Lo rifletta incessantemente, come tanti specchi che riverberano i raggi del sole. L'uomo conosce la luce del sole grazie al buio della notte e conosce un colore grazie agli altri colori e ogni forma nella loro varietà e differenza, ma Dio si nasconde nell'eccessiva evidenza della sua esistenza. Per conoscerLo bisogna avere occhi allenati e un animo puro. Ci sono alcuni tra noi, gli spiriti giusti e immacolati, che vedono Dio e in Lui vedono ogni cosa. Altri intelletti, coloro che sono sapienti e saldi nella scienza, in ogni cosa vedono il suo Creatore. Ma chi è iniziato ha visto che nulla esiste se non Dio.

Gli eletti degli eletti, che il sublime splendore del Volto di Dio ha bruciato e la potenza della Maestà ha avviluppato, sono rimasti in se stessi distrutti, annullati e senza più alcuna possibilità di contemplare se stessi, per essersi annientati rispetto a se stessi. Solo è persistito l'Unico Vero, e il senso delle parole di Lui: “Tutte le cose periscono salvo il Suo Volto” (Corano, sura del Racconto, 88) è divenuto per essi esperienza e stato.


Ogni immagine del versetto della Luce, spiega al‑Ghazali, è in analogia ai nostri modi di conoscere. La nicchia è lo spirito sensitivo, le cui luci passano dai fori del corpo. Il cristallo significa lo spirito immaginativo, che purifica le sensazioni, facendo trasparire la luce e salvaguardandola dallo spegnimento. La lampada è l'intelletto e l'albero è la ragione. Come un olivo essa parte da un ceppo e si dirama per divisioni logiche, le cui conclusioni sono frutti e semi per nuovi ragionamenti. L'olivo non è orientale né occidentale, perché la ragione trascende lo spazio. L'olio è lo spirito profetico: quasi dà luce anche se non lo tocca fuoco ed effonde la sua luce anche su ciò che lo circonda. Ecco che 
delle luci di cui finora si è parlato, essendo sistemate in gradi, l'una al di sopra dell'altra, quella sensitiva è la prima. Essa funge da sostrato e da preparazione per l'immagine, quest'ultima non potendo concepirsi se non posta dopo di quella. La luce raziocinante e quella intellettiva vengono dopo. E' giusto quindi che sia il cristallo il ricettacolo della lampada, e la nicchia il ricettacolo del cristallo. Perciò la lampada è nel cristallo e il cristallo nella nicchia. Tutte queste essendo luci l'una al di sopra dell'altra, è giusto che si abbia “luce su luce”. Queste immagini sono chiare solo per i cuori dei credenti o per i cuori dei profeti e dei santi, non per quelli dei miscredenti, giacché la luce è ricercata per essere ben guidati.
Infine, se la sorgente di tutte quante le luci è la Luce Prima, la Vera, è giusto che chiunque professi l'Unicità divina creda che “colui che Dio non ha dato la luce, non ha luce” (Corano, sura della Luce, 40).
Lo scritto di al‑Ghazali trabocca di passione ed autentica passione per Dio. Ci regala un attimo di respiro dalla truculenza dei nostri giorni e dalla volgarità dei nostri pregiudizi sull'Islam. Tre cose sole vorrei rilevare.

La prima è che La Nicchia è una meditazione su uno dei nomi più belli di Dio. Tradizionalmente se ne contano novantanove, cento meno uno, perché Dio, unità assoluta, ama il dispari. Nel sufismo i novantanove nomi segnano una via spirituale e di perfezione. Il sufi è chiamato ad imitarli per farsi, in un qualche modo, simile a Dio. Secondo un'altra tradizione i nomi divini sarebbero quattromila, di cui mille conosciuti solo da Dio, mille conosciuti anche dagli angeli, altri mille sono conosciuti anche dai profeti e ancora mille sono conosciuti anche dai credenti. Di questi ultimi trecento sono contenuti nella Torah, trecento nei Salmi, trecento nel Vangelo e cento nel Corano. Di questi cento, uno è nascosto agli uomini.

Nomi di Dio sono il Clemente, il Misericordioso, l'Uno, l'Unico, l'Assoluto, il Potente, il Custode, l'Altissimo, il Vendicatore, il Testimone, il Dolcissimo, Colui che umilia, l'Eterno, il Ben Guidato e così via fino alla Luce. La tradizione dei nomi divini è saldamente fondata nel Corano eppure teologicamente problematica. Questa pluralità non è forse un attentato all'unità di Dio? E il fatto che essi siano attribuibili, almeno in parte, sia all'uomo che a Dio, non è forse un attentato alla sua trascendenza? Lo stesso al‑Ghazali ha affrontato alcuni aspetti della questione in uno specifico trattato sui nomi divini. 

Qui, commentando la Nicchia, basta sottolineare che ogni nome di Dio non è frutto di una riflessione teologica sulla Sua essenza, che rimane sempre inattingibile all'uomo, ma è parte della Rivelazione coranica. Il fedele deve credere che il nome divino sia predicabile di Dio, perché e solo perché è stato rivelato. I nomi indicano i modi di essere o agire di Dio. Per esplorarne il significato al‑Ghazali fa ampio uso dell'analogia. Ogni parola ha un preciso significato che va oltre quello letterale, senza contraddirlo affatto. Anzi! Il vero sapiente è colui che rispetta e mantiene entrambi i significati, quello esteriore e quello intimo:
Non dedurre dall'esempio che ti ho portato e dal modo di foggiare l'immagine che io ammetta di doversi eliminare il senso letterale (del Corano) e ritenga ch'esso sia nullo tanto da affermare, ad esempio: Mosè non aveva calzari e non sentì realmente Dio dirgli: Togliti i calzari! (Corano, sura Ta-Ha, 12).Io combino quindi assieme il senso esteriore e il senso intimo ed è questa la soluzione perfetta.
L'analogia, per al‑Ghazali, non implica mai alcuna forma di partecipazione o di comunione tra uomo e Dio. Se per noi cristiani è naturale pensare che il mondo sia bello perché Dio gli dona la Sua bellezza, ed alcune persone siano giuste e sante perché Dio dona loro la Sua giustizia e la Sua santità, non così per i musulmani. L'analogia dei saraceni – è lo stesso al‑Ghazali a specificarlo in polemica con i cristiani – si può fondare esclusivamente su una vaga somiglianza tra attributi divini e caratteristiche umane. Nella Nicchia ha modo di affermare che: 
Il nome luce per le altre cose che non sono la Luce Prima è puro traslato, giacché ogni altra cosa considerata in se stessa non ha, come tale, luce propria, ma luce che le perviene in prestito da luce che, a sua volta non ha fondamento in se stessa, ma in altra cosa. Assegnare la cosa prestata a chi la riceve in prestito è puro traslato. Pensi tu che chi riceve in prestito degli abiti, una cavalla o un'altra bestia da soma e una sella e vi monta su quando e come il prestatore stabilisce sia ricco in realtà o metaforicamente? Pensi tu che sia ricco chi fa il prestito o chi lo riceve? No, chi riceve il prestito rimane in se stesso povero come era prima.
La seconda cosa da rilevare è  l'abbondanza dei riferimenti ghazaliani al patrimonio filosofico greco. Abbiamo già accennato all'analogia come strumento ermeneutico e abbiamo visto come, nella sua interpretazione del versetto della Luce, al‑Ghazali si appoggi ad un'antropologia di derivazione aristotelica, per cui l'anima è dotata di potenze sensitive e intellettive. Ma l'autore della Nicchia non si limita ad una supina trasposizione di concetti, ma li adatta alle esigenze della sua teologia. Ed ecco che tra le facoltà dell'anima emerge quello spirito profetico, così caratteristicamente musulmano. Ancora: al‑Ghazali dimostra l'esistenza di Dio a partire dalla contingenza del creato, arrivando poi a dire che nulla esiste veramente, se non Dio. 

L'esistente si divide in ciò che ha esistenza in sé e in ciò la cui esistenza deriva da altra cosa. E ciò la cui esistenza deriva da altra cosa ha una esistenza ricevuta in prestito, non fondata in se stesso; anzi, considerato in sé e per sé, è pura non-esistenza. Esso esiste solo in considerazione del suo rapporto con altra cosa, e quanta non è esistenza reale. Il vero esistente è Dio eccelso, così come la vera luce è Dio eccelso.

Risuonano alle orecchie del cristiano quelle parole della Confessioni di Agostino: 
Osservando poi tutte le altre cose poste al di sotto di te, scoprii che né esistono del tutto, né non esistono del tutto. Esistono, poiché derivano da te; e non esistono, poiché non sono ciò che tu sei, e davvero esiste soltanto ciò che esiste immutabilmente.
Alla fine della Nicchia c'è pure un passo misterioso, dove nello sforzo intellettuale di garantire l'assoluta unità divina, si arriva a dire che non è Dio a muovere direttamente i cieli, ma che Egli è l'obbedito da un motore del mondo che effettivamente mette in movimento il mondo. 
[Coloro che sono pervenuti alla visione] hanno distolto i loro visi da colui che muove i cieli, e da colui che muove il corpo celeste più remoto, e da colui che ha dato l'ordine di fargli muovere per rivolgerli a Colui che ha creato i cieli, ha creato il corpo celeste più remoto e ha creato colui che ne ordina il movimento.
Gli studiosi si sono scatenati intorno a questa annotazione ghazaliana: ci troviamo di fronte ad un demiurgo neoplatonico? La risposta è ancora lontana. Noi, profani di islamistica, abbiamo l'occasione per riflettere sull'eredità, proveniente dal mondo greco ed ebraico, che  cristianesimo e islam condividono. Questa parentela è, però, più vaga di quello che solitamente si crede. I cristiani, infatti, sono nati come ebrei e greci. Paolo, a suo modo, è un'icona di questa doppia appartenenza che ha plasmato il nostro modo di vivere la fede. I musulmani sono nati arabi e si sono appropriati dei tesori ebraici, cristiani e greci come ci si appropria di un qualcosa di straniero. La relazione con il mondo bizantino e della diaspora ebraica è, sicuramente, originaria, intessuta nei versetti coranici, ma non ha carattere genetico. L'Islam conserva e mantiene orgogliosamente la sua alterità rispetto alla religione del Messia. E' bene tenere a mente queste considerazioni, per non rischiare di interpretare il mondo islamico con categorie cristiane e... non capire più nulla.

Il terzo aspetto da rilevare è la precisione e il rigore di al‑Ghazali nel descrivere il fenomeno mistico. Un aspetto comune alla mistica di ogni religione è certamente l'unione profonda tra Dio e uomo, che arriva ad esclamare la bestemmia: “Io sono Dio”. Lo scandalo del musulmano è grande nel sentire ogni trascendenza divina annullata e una creatura farsi Dio. Un mistico dalle parti di Baghdad per affermazioni simili si meritò la croce. Al‑Ghazali riesce, nella sua mirabile sintesi, a tenere insieme la verità dogmatica con la concreta realtà dell'esperienza mistica, spiegando che la visione mistica ha per oggetto l'unicità di Dio, al punto che il mistico non vede più neppure se stesso: è annientato. Arriva a dire “io sono Dio”, perché ha dimenticato se stesso e non conosce che Dio.

Le parole del sapiente di Tus insinuano nel lettore il sospetto che la mistica non sia la proprietà privata di una qualche tradizione religiosa, ma che essa appartenga all'esperienza umana in quanto tale. Viene quasi da pensare che Dio conceda di mostrarsi in un qualche modo a tutti coloro che davvero si struggono dal desiderio di contemplarlo, a prescindere dal loro tempo e dal loro luogo, dalla loro lingua e dalla loro cultura e, persino, dalla loro fede.

Quando spirano venti di guerra e nell'aria si respira il terrore, è a ciò che di umano è rimasto in noi che bisogna fare appello ed è a Dio che bisogna rivolgere la nostra preghiera.

Al-Ghazali: La nicchia delle luci.Tea, Torino 1989


3 commenti:

  1. Bello. A me piace molto come scrivi, riesci a rendere facili le cose difficili, almeno per me.
    Aspettavo una tua riflessione, questa estate sono passata da Bologna e ho avuto il piacere di incontrarti. La vostra Chiesa è molto bella, grande, solenne ma si respira una grande pace e tanta serenità.Ti auguro tanta "Luce" nel tuo cammino in compagnia di Gesù. Tutta la mia solidarietà a Padre Carbone. Prega anche per me. E.

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    1. Grazie Bess. E' stato bello anche per me incontrarti. Riferirò a p G. e pregherò. UN abbraccio. Luca

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