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21 ottobre 2015

Un clandestino al Sinodo III: luce e follia


1 L'allucinazione delle seconde nozze

Non è diversa dalla condizione di chi subisce il divorzio, quella di chi opera questa vivisezione della sponsalità - separandosi chirurgicamente dalla una caro (una sola carne) – e rimane poi casto, lungi da voler caricarsi d'altre suocere o di mogli che più che mogli paion suocere in pectore. Se si converte, ossia se riconosce la stoltezza del proprio gesto - anche rimanendo separato, ma riconoscendo l'indissolubilità del vincolo – col Sacramento della Riconciliazione e la purezza dei costumi, certamente non è differito dal ricevere il Santissimo Sacramento.

Il problema non consiste più, quindi, nel divorzio come atto: la Misericordia di Dio è ben più soverchiante. Il problema, lo scontro fatale è quello del divorzio come stato. Qui si logorano in un cocente attrito la Liberalità del Perdono Divino e la libertà dell'ostinazione umana. L'uomo, anche senza un diretto disprezzo della fede, può decidere di costruirsi una vita sulla sabbia delle proprie immediate esigenze, rifiutando la sublimazione che offre la croce. L'uomo può mettere all'uscio anche l'inquilino più generoso del suo cuore: la Misericordia. Come accade? Colla finzione, perché di questo si tratta: di nuove nozze civili. Potrei ricevere una seconda carrellata di curiosi insulti. Magari qualcuno mi augurerà una lieta scorpacciata di prugne con tutti i successivi e, ahimè, drammatici annessi e connessi; ma, se mi permettete, preferisco la vostra indigestione di prugne, che perdere il contatto col vero.
Vi potrebbe essere una fedeltà soggettiva fortissima dove i due amanti sono stretti da intensi legami amorosi, dove i risposati si giurano o forse congiurano la propria lealtà. Fratelli carissimi, si potrebbero costruire ogni genere di castelli, vi potrebbero essere sentimenti, rispetto reciproco, figli meravigliosi, rapporti sereni e cordiali fra le mura domestiche e quelle pittoresche vacanze in barca che piacciono tanto alle sitcom americane: potrebbe essere tutto soavemente ideale..., ma The Trouman Show, per quanto  possa avere ogni parvenza di realismo per Trouman, rimarrà sempre e solamente uno show.

Così vale per le coppie risposate, che, in fin dei conti – scusate l'amara ironia, non è mio desiderio offendere, ma scuotere - sono composte da ‘pazzi’ convenzionalmente promossi ed accettati, ossia da persone che sono sicurissime che qualcosa che obbiettivamente c'è, il vincolo delle prime nozze, non ci sia più e che qualcosa che realmente non v'è invece ci sia – il vincolo delle seconde nozze. Quando l'uomo si inventa la realtà, ebbene Dio in quel mondo non entra. Ma questo non è colpa solamente dei divorziati risposati, che possono anche essere delle vittime, come non è accusabile lo schizofrenico di vedere persone che non esistono. La colpa è di quel medico che incoraggia lo schizofrenico nelle proprie follie perché ognuno ha ‘diritto’ alla propria realtà. Così la cultura, in cui viviamo - ahimè, sempre più inquietante - è riuscita a plasmare delle realistiche, ma mai reali, allucinazioni che, con un poco di scivoloso autoconvincimento, hanno reso normale quanto in verità non lo è affatto.
Ma di questo noi non ci stupiamo: il mondo attuale è, infondo, un consequenziale superomismo nietzscheano, dove ognuno pone o meglio impone i propri valori all'obbiettività ineludibile delle cose, l'unica che potrebbe a buon diritto imporsi e che, in vero, si limita a lasciarsi guardare: "La verità non chiede nulla a suo favore (...) Un'unica cosa, frattanto, essa desidera: di non essere condannata senza essere conosciuta" [Tertulliano, Apologeticum I, 2]. Pertanto dare la comunione ai divorziati risposati, sarebbe come dire che essi sono realmente uniti in Dio, senza però, l'interferenza di Dio. Perché, infatti, uno riceva la comunione, ossia riceva l'interconnettività del Corpo Mistico di Cristo, deve esservi connesso, altrimenti abbiamo una contraddizione di termini innegabile. La comunione dei divorziati risposati è come parlare di quadratura del cerchio.
 
2 Il cruciale quesito

D'altrocanto si sottende un'esigenza profonda. A noi non interessa escludere nessuno dalla Comunione Eucaristica, al contrario, desideriamo profondamente creare tutte le condizioni necessarie perché nessun uomo perda l'occasione impareggiabile di ricevere Cristo. Se ci limitassimo ad affermare la verità, facendo di questa un muro, invece che un viatico, sarebbe meglio per noi prudentemente tacere. Se siamo sinceramente innamorati dell’Altissimo non ci interessa solamente riproporre l'Immutabilità del Vero, ma coniugarLa alla, ahimè, mutevole e volubile condizione dei peccatori. Vogliamo mostrare come la Verità non condanni, ma salvi.
 

Chi dice, infatti: “Hai peccato!” ad un uomo che non saprebbe come uscirne, sarebbe per quello motivazione di condanna: talvolta l’ignoranza, benché non sia mai scusabile (1), salva dal contrarre colpe meno scusabili. Al cristiano interessa che quella verità che gli dice: “Hai peccato”, non sia una sentenza astratta, ma una Verità Persona che, senza rinunciare alla propria Divinità, muoia per amore sulla croce. Sì, è bene ricordarlo ai nostri cuori: la Verità, anzitutto, ama. Noi vogliamo dimostrare senza compromessi un tanto vivido amore. La domanda a questo punto è semplice, quasi fiorirà spontaneamente sulle labbra del lettore: come?












(1): L’ignoranza  è sempre colpevole, perché è l’ingiustificabile non-conoscenza di ciò che, in vero, si dovrebbe sapere, ad esempio di quanto piace a Dio. Quando, invece, non conosciamo ciò che non ci è chiesto sapere - ad esempio che temperatura si rileva oggi sulla luna - parliamo di nescienza. La nescienza, talvolta, è più sapiente della conoscenza e addirittura preferibile, se ad esempio parliamo di come compiere il male o di futile chiacchiericcio, come di notizie inopportune.
 

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