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21 marzo 2010

XVII-XVIII. Come e perchè dare la macchina del priore ai prenovizi

Dicevamo che per Umberto l'essenziale della povertà religiosa è la capacità di condividere tutto come se non si possedesse nulla. Nel mondo - il nostro - dell'abbondanza, non abbiamo più bisogno di privarci di nulla: in convento tutti hanno tutto il necessario e non devono chiedere a nessuno. Come si fa, allora, a vivere la povertà? Un piccolo test, a dire il vero, ci sarebbe. Ve lo propongo:

- Sei disposto a condividere l'auto che hai a tua disposizione? [perchè i frati, anche con l'abito, sono sempre maschi!]

a) nemmeno con il priore
b) solo con i confratelli che sanno guidare
c) perfino con i prenovizi

- Sei disposto a condividere i tuoi libri? [perchè i frati, anche senza l'abito, sono sempre domenicani!]

a) nemmeno con il priore
b) solo con i confratelli che sanno leggere
c) perfino con i prenovizi

Risultati: Se hai risposto sempre c) sei perfettamente povero; se hai risposto sempre b) sei perfettamente prudente; se hai risposto sempre a) sei il priore.

XVII. Ma accipicchia! ci sono alcuni che rovinano la povertà, talvolta per il desiderio di possedere, oppure con parole inopportune, o addirittura violando apertamente questa virtù. Ce ne sono molti che, presi dalla sfregola dei desideri, sbavano dietro alle cose che prima avevano promesso di disprezzare: si sono scordati che presso Colui che giudica la volontà viene condannata prima ancora che si trasformi in azione. Al contrario uno dei Padri del deserto, siccome desiderava rubare un cetriolo, si tormentò violentemente sotto il sole, in modo che una tale tortura gli resituisse il senno e moderasse il suo desiderio cattivo (dalle Vite dei Padri del deserto). Coloro che ora aspirano ad avere ricchezze che non potevano avere al di fuori di un convento, se fossero veri discepoli di Cristo, si darebbero da fare per entrare alla svelta nella porta stretta che conduce alla vita (Mt 7), liberati da ogni bagaglio.

Talvolta si trovano alcuni frati che si attaccano a tal punto a certe chincaglierie, che quasi non vogliono cederle a coloro che ne avrebbero bisogno. Altri, magari, siccome non possono dire apertamente di no, sudano quattro camicie per nascondere le loro robe alla vista dei confratelli, nel caso le chiedessero. Questi dovrebbero - piuttosto - amare meno la loro paccottiglia e mettere al primo posto l'amore fraterno. Io mi vergogno per il fatto che alcuni, per delle sciocchezze, si scaldano al punto che - se qualcuno si è anche solo immaginato di toccare anche solo con un dito qualcosa loro - lo insultano, rabbiosi dentro.

Ci sono pure quelli che dicono così: se non mi si dà il permesso di ricevere o possedere questo o quello, d'ora innanzi me ne sbatto del convento. E ci sono pure quelli che si atteggiano in modo tale che il priore nemmeno osa prendere loro ciò che hanno od ordinare loro di prestarlo. E se si prende loro qualcosa, mettono in subbuglio tutto il convento. Ma proprio perchè rivendicano con rabbia un diritto sulla suddetta roba, dimostrano di non essere poveri. Infatti non si agiterebbero tanto, se ritenessero di non possedere quelle cose per cui si scaldano.

Poi ce ne sono molti che non prendono nè spendono soldi senza permesso, e tuttavia, siccome non vogliono vedersi negato questo permesso per nessuna ragione al mondo, non sono certo scusati di fronte a Dio. Altri, che desiderano dare o ricevere qualcosa, aspettano - perfidamente - che il loro superiore sia assente, per poter chiedere al suo vice quel permesso, che credono o temono il priore avrebbe negato. Anche questi potrebbero trovare delle scuse valide di fronte agli uomini, ma di fronte a Dio, a cui ogni cuore si rivela ed ogni volontà parla, hanno abbandonato la via della perfezione. Alcuni pretendono di avere cibi e bevande solo per se stessi, oppure di distribuirli esclusivamente a chi piace loro e non vogliono che ne siano partecipi altri frati, secondo le disposizioni del priore.

E ci sono altri, a cui è stata affidata una certa responsabilità, che affidano le proprietà del monastero a persone indegne, o lasciano incautamente che si rovinino, o comprano cose superflue. Molti, che per i propri bisogni sono piuttosto di manica larga, per quelli degli altri hanno il braccino piuttosto corto. Questi, se intuissero che l'elemosine sono ciò di cui vivono i poveri, le distribuirebbero equamente, con giudizio e deferenza grande e timorosa.

XVIII. I veri amanti della povertà senza permesso non accettano nulla, nè la danno o la posseggono, nè la nascondono nè la prendono in prestito, nè la rubano. Infatti, sebbene ci è permesso avere delle cose in comune, tuttavia non dobbiamo possedere nulla personalmente. Ecco: il nostro padre Agostino visse così poveramente, che, morendo, non fece nemmeno testamento.

E i religiosi, così come non possono avere proprietà, devono anche impegnarsi a cooperare. Dovete sapere che i frati devono trascurare alcune cose sia di fatto che con il cuore (come la proprietà delle cose di cui si sono privati facendo professione); alcune cose le devono tralasciare non di fatto, ma con il cuore (come i beni materiali che, a volte, ci vengono concessi per l'apostolato); alcune cose le devono abbandonare di fatto, ma non con il cuore (come ogni volta che, per obbedienza, si interrompe la contemplazione delle cose celesti).

Ma ehi! vediamo di ricercare i molti vantaggi della povertà! Tuttavia i frati non voglio viverla con le privazioni connesse. In verità, presso Dio onnipotente la povertà viene resa preziosa, quando la si unisce ad una volontà devota e alla sopportazione delle difficoltà. Certamente, per mantenere la virtù della spogliazione volontaria, rendetevi così estranei ad ogni povertà, da imparare che, come, pellegrini e nullatenenti, dovete vestirvi e anche nutrirvi delle pie donazioni al convento.

Quindi, da queste premesse, meditate sul fatto che non dovete concupire disordinatamente nulla di ciò che si può possedere nella vita terrena, nè ve lo dovete intascare disonestamente, nè riceverlo o darlo senza permesso e che non dovete estorcere un permesso, nè possedere qualcosa a dispetto della carità fraterna, nè spendere alcunchè inutilmente.

Continua qui.

10 commenti:

  1. Ciao mi chiamo Francesco, ho 21 anni e studio filosofia a Bari. Mi sono imbattuto quasi per caso sul vostro blog e mi è piaciuto molto, anche perchè ho un amore profondissimo per l'ordine domenicano e i "suoi" grandi santi.
    A proposito della povertà: per quanto riguarda la mia esperienza io penso che proprio la mancanza di povertà sia forse una dei motivi per opporsi all'obbedienza. L'ostacolo che può nascere a questa "fiducia" che in fondo è l'obbedienza, è l'attribuire la certezza nel futuro a certe cose che già possediamo: i soldi, i capelli, le amicizie, la protezione dei grandi, il saper cantare, i muscoli...e tutto il resto. La povertà, per quella che è la mia esperienza cristiana, non ci fa sperare la felicità futura da un certo possesso presente, questo certo possesso presente sarebbe contrario alla fede; la povertà ci fa sperare nel futuro, nella felicità futura, per la presenza di Cristo, per il possesso di Cristo presente. Povertà è non sperare da un certo possesso: "certo", vuol dire fissato da noi, previsto da noi, scelto tra quello che è comodo a noi, scelto tra quello che più persuade noi, scelto tra quello che più ci dà ricchezza e quindi sicurezza economica.
    La non povertà si oppone secondo me alla speranza perchè colloca la sicurezza nella felicità futura in un certo possesso, che può essere presente o futuro; ciò vuol dire che la speranza non è più riposta in Cristo. La speranza è la certezza in Cristo che fonda la certezza nel futuro; si oppone alla speranza la certezza riposta in qualcosa che fisso io. Mentre la dinamica che ho sperimentato nella mia vita è questa: io ho certezza nel futuro, questa certezza nel futuro mi viene da un presente, possiedo Cristo. La fede mi fa riconoscere Cristo presente, io possiedo Cristo e perciò sono certo per il futuro, questa è la speranza. Ciò che si oppone a questa speranza è qualunque modo con cui l'uomo fissa in una cosa determinata da lui, scelta da lui, la sua certezza.
    Tutto il meccanismo sta nel porre la certezza in qualcosa, in una certa cosa dalla quale dipende la nostra speranza. La nostra speranza quindi non dipende da Cristo, dipende dal possesso di una certa cosa, qualsiasi essa sia. E questo è il contrario della povertà, per me.
    La povertà dunque fonda il suo valore sulla certezza che è Dio che compie; Cristo compie il desiderio che ti fa nascere: "Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento domani nel giorno di Cristo (Fil 1,6)". Il fondamento della povertà sta nella certezza che Dio compie quello che ti fa desiderare. Se Cristo ti dà la certezza di compiere ciò che ti fa desiderare, allora tu sei liberissimo dalle cose; nasce l'immagine della libertà, innanzitutto come libertà dalle cose. Non sei schiavo di niente, non sei incatenato a niente, non dipendi da niente: sei libero. Non sei schiavo di quello che usi, perchè sei schiavo solo di Colui che ti dà la certezza della tua felicità. La povertà si rivela come libertà dalle cose in quanto è Dio che compie i desideri, non la certa cosa cui tu miri. E la stessa cosa, secondo me, vale anche nei rapporti: essere liberi nei rapporti significa che il rapporto è poggiato su qualcosa che permane, cioè sul divino che permane. Hai ciò che ti è necessario, hai tutto ciò che ti è necessario. Quindi, ultimamente, la povertà si può definire anche così forse: l'affermazione di un Altro come significato di sè. E l'affermazione di un Altro come significato di sè vuol dire dare tutto sè, donandosi a chi il Signore gli mette davanti, obbedendo a Dio, donando quindi all'altro cone carità: più povero di così si muore, nell'amore uno è come se morisse a se stesso per affermare l'altro. (continua...)

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  2. (continua...) La povertà, poi, appartiene a una legge dinamica della conoscenza, a una legge del dinamismo della conoscenza: per conoscere occorre un distacco. Questo distacco permette di usare le cose, ma soprattutto di godere di più, di goderne di più: per conoscere un quadro non occorre andar lì con l'occhi a un millimetro. Se qualcuno viene a staccarti e ti strappa indietro di un metro, allora si vede il quadro! Senza questo distacco non si conosce, e perciò non si può usare, nè si può godere. Quanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più conosci, usi e godi. Una madre che non ha mai conosciuto un momento in cui fissa il suo bambino e, fissandolo da lontano, pensa a: "Chissà che destino avrà questo mio bambino", una donna che non ha mai fatto così, non ha mai gustato l'essere madre, mai; non può mai essere stata educatrice valida, non conosce la creatura che ha lì.
    La povertà appartiene dunque al dinamismo della conoscenza, per cui occorre avere un distacco per vedere le cose e quindi usarle e goderne di più, un distacco intelligente e pieno di affezione. La povertà è quindi, ultimamente, una questine di amore, cioè di abbandono di sè, di dono di sè; quanto più uno ama tanto più uno abbandona se stesso, afferma soltanto l'altro.

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  3. @ Francesco. Mi ritrovo in pieno in quello che dici, che in fondo è la grande lezione di don Giussani (e, prima di lui, di san Tommaso).
    Scusa se te la butto brutalmente là: hai mai pensato di farti domenicano?
    Per quel poco che ho visto finora ne vale proprio la pena.

    @ Luca: scusa la pedanteria. Già che ci sono: "nè" corrige: "né".

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  4. Beh, dato che me la butti brutalmente là: sì, ci ho pensato spessissimo, e non ho ancora smesso di pensarci, solo che non ho la minima idea di come fare :) Francesco.

    P.S. Mi fa piacere che tu conosca don Giussani, anche se naturalmente lui la spiegherebbe molto meglio la questione, io sono stato molto più confuso.

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  5. @ Francesco: be' mi pare che il don Gius dicesse proprio queste cose ad esempio in "Si può vivere così?".
    Cmq: il mio indirizzo email è luca.gili@sns.it.
    Se mi mandi una email privata mi fa piacere.
    Ciao, Luca G. (diverso dal Luca R. autore del post)

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  6. Si, ne parla in "si può vivere così?" però molto meglio e molto più dettagliatamente. La mia mail è morgimox@hotmail.com

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  7. Simpaticissimo il test proprosto da LucaR e la testimonianza di Francesco al quale auguro davvero di avere al più presto le idee chiare circa il suo futuro magari tra le Bianche Lane domenicane....^__^

    Forse per i frati il concetto della povertà è un tantino più concretizzabile che per una laica sposata quale io sono...si tratta di diversità legittimate dal fatto che una Famiglia vive spesse volte nel contesto del consumismo anche senza volerlo, per esempio: i figli e le loro necessità anche mondane alle quali non si può sempre dire di no...

    Ma c'è la povertà che tutti possiamo condividere: la rinuncia del POSSEDERE!
    la possessione, il suo concetto e i suoi derivati, è la controtendenza che dobbiamo tutti imparare affinchè usiamo ciò che ci è dato, ma senza il possedere...^__^

    Dico a me stessa ed ho insegnato ai figli che tutto ciò che abbiamo è grazia e dono per essere usato a fin di bene, perfino il lavoro del papà deve essere letto in questa chiave: è un dono, una grazia per la quale il papà deve rispondere con tutta onestà del suo usofrutto...
    Prima dei diritti (ho diritto ad avere, ecc...) siamo chiamati al senso dei DOVERI: mi è stato dato per....
    al contrario oggi si vantano prima i diritti (anch'io ho il diritto di avere....) trascurando i doveri che son quelli che ci aiutano a dissociarsi dall'avidità del possedere...

    Dice infatti Umberto sopra riportato:

    " Infatti, sebbene ci è permesso avere delle cose in comune, tuttavia non dobbiamo possedere nulla personalmente."

    E' così anche in famiglia e in tutte le famiglie, così almeno dovrebbe essere anche per comprendere la grazia del DONO e che non è vero che tutto ci è dovuto!

    Grazie per queste meditazioni...

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  8. grazie a Francesco e Caterina per i loro bellissimi commenti, che non posso che sottoscrivere.

    x Francesco: per iniziare un percorso di discernimento vocazionale la prima cosa da fare è andare a parlare con un frate. a bari i frati domenicani sono presenti alla basilica di san nicola. oppure segui il link "provincia san tommaso" nella spalla sinistra del blog.

    ps. p. Riccardo mi scrive dicendo che sono un po' retrò: ormai i libri si danno un po' a tutti. ma i computer? in effetti... qui p. Riccardo ha messo il dito nella piaga: io lo presterei il mio pc?

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  9. per P. Riccardo. Il pc non è un problema. I libri decisamente sì. (anche perché in quel caso prestare è sempre regalare)

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  10. Arg!!! bella provocazione: io presterei il mio pc?
    ^__^
    considerando che non è un portatile e che è bello ingombrante, confiderei sul fatto che nessuno possa venire a chiedermelo ahahahahah^__^
    ma temo che di fronte alla richiesta non saprei dire di no, ma soffrirei molto ^__^ non certo per l'oggetto, ma per i dati che ho dentro con il timore di perderli!

    Effettivamente, ripensando serenamente, questo mi fa capire quanto siamo appiccicati alle cose, anche se importanti...il timore DI PERDERE quel qualcosa ci fa star male, poi il bello è che quando l'abbiamo perduta ricominciamo da nuovo, ma non impariamo mai la lezione ^__^
    qualcuno lo chiama "spirito di conservazione" giusto quanto vuoi entro certi limiti, ma per noi dovrebbe essere diverso, in fondo siamo segno di contraddizione no?!
    ^__^

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