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30 dicembre 2014

Beethoven: risurrezione e rivoluzione

Pare che in ragione della sua visione sinfonica, di cui ho scritto nel mio post precedente, Beethoven abbia voluto costruire la sua opera con una architettura per così dire “triadica”; dice Mila che «a rigore si deve parlare di tre "gruppi tematici", cioè di tre complessi di idee strettamente embricate l'una all'altra». Nel primo movimento i temi si presentano a gruppi, concretizzano quel patrimonio melodico di elementi per l'elaborazione dove esposizione e sviluppo sono ipso facto già in atto. Da tutto ciò ne consegue la proliferazione continua ed incessante di motivi e di sequenze ritmico-armoniche. Abbiamo quindi da una parte una intelaiatura triadica, essenza stessa della sinfonia; dall’altra parte, emerge questa dialettica che, manifestando una necessaria interlocuzione tra due, in ultima analisi si fonde in un terzo che ne è l’intero. Questo, peraltro, non potrà darsi senza interlocuzione quale sua necessaria presupposizione di cui è “sintesi”. Più nel dettaglio, da questa poderosa voce di Dio, che si ode nelle prime battute – intervento sostenuto dall’intera orchestra – prende consistenza un accordo in re minore.

 È un andamento che sfocia nella frase successiva con un secondo tema arcadico eseguito dalla sonorità dei legni che dialogano a coppie con una certa serenità su un accordo di dominante in si bemolle maggiore.       
  



Non volendo approfondire troppo e scadere in un inopportuno tecnicismo, sottolineo solamente che tutto il movimento armonico avrà il suo culmine in un eccelso contrappunto, drammatico per certi versi, e nella cui prosecuzione diventerà perspicua quella dinamica di fondo già evidenziata, risoluzione che porterà l’armonia ad immergersi nell’accordo di re maggiore accentuando così quel contrasto dialettico tra maggiore e minore che caratterizza tutta la sinfonia.

Di particolare valenza è la tonalità del minore nell’utilizzo del maestro, una pratica abbastanza rara e parsimoniosa. Un accordo udibile solo nella sua crisi causata dalla perdita dell’udito. Bisogna certamente far riferimento al testamento spirituale di Heilingestadt (6-10 ottobre 1802) per avere cognizione della drammaticità della situazione 
«Quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e ancora io nulla udivo. Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita[…] O Provvidenza – concedimi ancora un giorno di pura gioia – Da tanto tempo ormai non conosco più l’intima eco della vera gioia – Oh quando – quando, Dio Onnipotente – potrò sentire di nuovo questa eco nel tempio della Natura e nel contatto con l’umanità. –Mai? – No! Oh, questo sarebbe troppo crudele».



Non è finita qui … nella disperazione più totale, in ciò che Beethoven percepiva come ingiusto, si rinviene la scintilla di una “risurrezione spirituale”, una intuizione improvvisa sopraggiunge traducibile nella idea di “rivoluzione”. Da uomo rivoluzionario qual era, certamente ispirato, volle tentare la titanica impresa trasponendo in armonia le proporzioni del creato, di un mondo che chiaramente trova sola ed unica spiegazione in ciò che Shiller scrisse «Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Vi inginocchiate, moltitudini? Intuisci il tuo creatore, mondo? Cercalo sopra il cielo stellato! Sopra le stelle deve abitare!»

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