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9 gennaio 2015

Chi manca nel presepe?

Cari fratelli,

l’evento gioioso e luminoso, l’evento decisivo e silenzioso, l’evento completamente inaudito e immeritato è la Nascita del Salvatore a Betlemme. In questi giorni abbiamo avuto occasione – ciascuno in casa propria – di festeggiare, di meditare e di annunciare uno dei misteri centrali della fede cristiana. Il Verbo ineffabile di Dio assunse il volto umano e venne ad abitare in mezzo a noi! 

Osservando il presepe, scorgiamo diverse figure in adorazione davanti a Gesù Bambino. Da vicino si china sopra il Figlio la Madre Maria, mentre Giuseppe e gli angeli stanno alla guardia. Certamente non mancano mai i pastori e i magi con i loro doni. Essi fanno tornare nella mia mente l’esperienza fresca di Bolzano, dove il nostro fratello Luca ha serenamente consegnato nelle mani del Signore il dono totale di sé usque ad mortem. La così detta professione solenne è certamente un dono molto prezioso che si può offrire a Dio nella Chiesa. Alla luce del presepe però tale consacrazione altro non è che la risposta libera e generosa all’amore strampalato con cui Dio per primo si dona a noi in Cristo. In questa prospettiva dello scambio amoroso divino-umano, la vita consacrata – per chi è ad essa chiamato – non rappresenta né una rinuncia, né una privazione, ma un vero e proprio guadagno. Il guadagno personale di uno torna poi a beneficio di tutti, i quali vedendolo si sentono incoraggiati a perseverare nel cammino della fede con gli occhi fissati a Gesù. Ma non bisogna dimenticare l’altro lato della medaglia. A chi sarà dato di più, sarà anche chiesto di più. Perciò un’eventuale infedeltà dei consacrati al loro primo amore mediante l’infrazione dei voti è in sé peccato grave che scandalizza i piccoli. 


Oltre ai pastori e ai magi la pietà popolare pone nel presepe molte figure sia semplici che nobili, diverse per il mestiere, affinché diventi chiaro che nessuno viene escluso dall’offerta di comunione donataci da Dio in Cristo. A mio avviso però mancano nel presepe tradizionale almeno due figure di primo ordine. Chi sono? Gli evangelisti, Luca e Giovanni. Sarebbe interessante far aggiungere le loro statue tra coloro che insieme ad altri adorano il Salvatore neonato. Quale dono per Gesù essi avrebbero in mano? Il libro. Se Luca e Giovanni non avessero scritto nulla, la liturgia di Natale sarebbe rimasta quasi completamente zitta, privata del contenuto da proclamare. Non è così, grazie all’impegno consapevole che questi autori sacri non volevano risparmiarsi. Luca raccoglie per il suo amico Teofilo le memorie personali di Maria e di altri “testimoni oculari” della vicenda di Cristo. Nel programma della sua opera Luca si pone esplicitamente in sintonia con coloro che prima di lui sono stati “ministri della Parola” (Lc 1,2). Lo stesso vale per Giovanni, il quale rende nei suoi scritti alla Parola incarnata l’omaggio teologicamente ancor più raffinato. Non a caso il prologo affascinante del quarto vangelo risuona nella liturgia di Natale sempre di nuovo. Le figure di San Luca e San Giovanni – collocate idealmente nel nostro presepe – diventino l’ispirazione per ogni nuovo ministro della Parola, chiamato da Dio alla missione della predicazione. Prima di uscire verso la gente, spesso a prima vista indifferente e lontana, il predicatore del vangelo si dedichi con perseveranza all’adorazione ed allo studio.       



Ultima figura del presepe da prendere oggi in considerazione sarà la pecora. Di solito ce ne sono diverse, che riposano davanti alla grotta. Queste pecore suscitano grande interesse soprattutto nei bambini venuti a Natale in chiesa con i loro genitori. Ma la lettura del salmo 23 ricorda anche a noi che la pecora può essere un’immagine forte della nostra esperienza religiosa: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla ... Egli mi guida, ... mi rinfranca, ... mi conduce. Il compito della pecora non è quello di sapere tutto ma di fidarsi del pastore. Prima o poi succede che sarà necessario abbandonare gli amati prati erbosi e le acque tranquille per attraversare qualche valle oscura. Gesù lo dice chiaramente a colui che ha posto a capo dei predicatori della sua parola: In verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18). Chi ha fatto l’esperienza della bontà, della fedeltà e della tenerezza di Dio nei suoi confronti, potrà pregare nell’ora della prova con il salmista: Non temo alcun male, perché tu, Signore, sei con me. Ciò rimane profondamente vero anche di fronte all’ora della morte, sia essa propria o quella di coloro che come fra Domenico ci lasciano nel mondo privi della loro consolante presenza. Ritorna quindi ancora una volta nella nostra mente – mediante allusione del salmo alla valle oscura – il grandioso programma di vita consacrata usque ad mortem. Secondo l’evangelista Giovanni, Gesù invita Pietro non solo a predicare e pascere gli altri nel suo nome, ma nello stesso tempo anche a lasciarsi pascere da Dio senza mormorazioni. Proprio così la sua vita diventerà nell’ora della morte una preziosa dossologia esistenziale (Gv 21,19s). E' bello, in questo senso, rendersi conto come finisce ogni nostra preghiera dei salmi: Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Amen.  

p. Tomas
in occasione della preghiera all'Arca di giovedì 8 gennaio 2014 

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