Pagine

17 giugno 2010

XLI-XLII. Il mio piede sinistro

Il riferimento di Umberto di Romans, nella sua lettera ai frati predicatori, a Eud, il giudice di Israele mancino, mi ha fatto venire in mente un vecchio stupendo film. Ci recitava Daniel Day-Lewis, interpretando un ragazzo paraplegico che impara a dipingere con il suo piede sinistro.

Non c'è rappresentazione migliore della pazienza.

Io ho avuto la fortuna di lavorare e vivere con persone affette da disabilità fisiche e mentali. Ognuna di loro è stata, a suo modo paradossalmente, un maestro di pazienza. Qualcuno era un po' stronzo. Altri erano lagnosi e pesanti. Spesso erano pigri. Tutti, però, avevano una tremenda voglia di camminare su delle gambe che non vanno, di giocare con delle mani che tremano, di parlare con una lingua ribelle. Con pazienza facevano tutto questo: vivere e a fanculo la malattia!





XLI. E poi, cari fratelli, impadronitevi della pazienza, lo scudo delle virtù, che nei santi di Dio compie miracoli. Infatti è proprio la pazienza a permettere ad una fragile ragazzina di vincere il mondo: persino senza combattere sconfigge l'avversario e si nutre delle amarezze del mondo e si diverte nelle avversità. Gli apostoli, certamente, ritennero di rallegrarsi di essere degni di sopportare gli insulti in nome di Cristo (At 5).



Se ci pensiamo bene, le sofferenze che sopportiamo non sono paragonabili alla grandezza delle sofferenze di Cristo (Rm 8), nè dei nostri peccati e dei tormenti dell'inferno, nè alle ricompense celesti.

Perciò i nostri padri si rallegravano per i giorni nei quali il Signore li umiliava e per gli anni in cui se la passarono male (Sal 89), proprio come ci ha mostrato il beato Domenico, che, attraversando luoghi insidiosi, camminava speditamente e cantava. E, per la stessa ragione, il nostro Padre stava più volentieri a Carcassone che a Tolosa, perchè nella prima città otteneva insulti, nella seconda onori.

Ci dà un esempio di pazienza colui che diceva: non ho forse dissimulato? non ho forse taciuto e mi sono quietato (Gb 3)? Dissimulò non mostrando alcun segno di impazienza; tacque non pronunciando parole dure; fu quieto anche nel cuore non turbandosi nell'intimo.

XLII. La pazienza è acciaio, grazie al quale la mente non si sfracella sbattendo contro le scomodità; è una medicina grazie alla quale ogni ferita si cura; è uno scudo che previene ogni danno. Nessuno ci potrà danneggiare se prima non avremo combattuto interiormente contro noi stessi.

Conosceva bene il frutto delle tribolazioni quello che ricompensava chi lo insultava (Dalle Vite dei Padri). A questo fa chiaro cenno la Sacra Scrittura, nel passo in cui il fuoco non brucia i tre ragazzi, ma li scioglie dai legacci (Dn 3). E l'arte ci dimostra lo stesso, poichè una pietra viene battuta e scolpita per essere poi esposta in un luogo solenne. Così anche noi veniamo pressati in questo mondo per venire poi collocati nel tempio della patria celeste, dove non suona alcun martello. Infatti la gioia è preceduta dalla tristezza con la quale veniamo feriti o per espiare le nostre colpe, o per perfezionare la grazia, o per l'aumento della nostra gloria. Oh travaglio, oh dolore, oh beate lacrime, che l'Onnipotente deterge dagli occhi degli afflitti (Ap 21)!

Il regno dei cieli è di coloro che vengono perseguitati a causa della giustizia (Mt 5). Due sono le cause della persecuzione: la colpa e la pena. Chi viene perseguitato se la passa meglio di chi perseguita, perchè la pena è del prima, ma la colpa è del secondo.

Dio onnipotente ci mostra la purezza del suo amore, quando giudica e castiga quelli che ama (Ap 3). In segno di clemenza il re Assuero stende verso Ester lo scettro d'oro, nel quale viene raffigurato lo scettro della correzione del Signore, che ci consola. Se, infatti, beneficasse coloro che lo amano con beni temporali, allora molti lo seguirebbero non per se stesso, ma piuttosto per i suoi doni. Ci furono coloro che usavano indifferentemente la destra e la sinistra (Gdc 3), dei quali non potrei dire altro se non che trasformavano in meriti sia la fortuna che le avversità: anzi, a dire il vero, per tali persone non ci potrà essere mai alcuna avversità, visto che le avversità stesse accumulano loro meriti e li conducono alla gioia.

E' quindi chiaro che l'uomo paziente produce dal fiele un favo di miele, trasforma il male in bene, succhia l'amaro come fosse latte, cambia la tristezza nella gioia della felicità eterna. Infatti, il paziente aspetterà fino al tempo in cui ritornerà l'allegria (Qo 1). Certo, noi peccatori non arriveremo al refigerio se non passando per l'acqua della tribolazione o, addirittura, per il fuoco del purgatorio (Sal 65). E' più facile, comunque, passare per l'acqua che per il fuoco. Considerando l'utilità delle avversità, potremmo ripagare Dio a stento in cento anni per uno solo di debolezza. Da qui, com'è scritto nelle Vite dei Padri, quel bravo monaco si doleva sapientemente, piangenfo perchè Dio di non lo visitava ogni anno con una malattia.

3 commenti:

  1. Caro Luca,
    anch'io ho conosciuto e conosco persone che "vivono con pazienza", come dici tu.
    E anch'io ho imparato ad avere "pazienza".
    Grazie. Un caro saluto. Sr. Matilde

    RispondiElimina
  2. La pazienza è acciaio....
    essa va forgiata con la nostra esperienza...è la vita stessa che (se vissuta onestamente) te la insegna e spesso sulla propria pelle...
    Purtroppo il correre di oggi non ci aiuta molto, infatti va di moda essere "stressati", volente o dolente, ti ci ritrovi dentro senza neppure accorgerti...

    Grazie per queste riflessioni!

    RispondiElimina
  3. grazie a voi per i vostri delicati commenti!

    RispondiElimina